“Sulle partite IVA abbiamo commesso errori dovuti alla fretta. Correggeremo entro un mese”. Così si è espresso il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti venerdì scorso a Ravenna durante un dibattito organizzato da Generazioni e Legacoop Romagna.

Poletti, durante il question time del 14 gennaio alla Camera Poletti aveva già osservato che la situazione si era “determinata in un senso diverso da quello che il Governo avrebbe voluto”, annunciando l’intenzione “come [...] già stato pubblicamente dichiarato dal Presidente del Consiglio, di intervenire rapidamente”. La prima promessa di rimedio da parte di Renzi è infatti risalente al 24 dicembre scorso, seguita dall’ulteriore ammissione di “un autogol clamoroso” andata in onda su La7 proprio il 14 gennaio.

La scadenza indicata da Poletti in un mese di tempo è però un dato nuovo che interroga rispetto al modo in cui il Governo si appresta ad adottare i rimedi necessari.

Il Ministro a Ravenna ha parlato di un cambio delle regole «sul tema fiscale che è la sede dell'errore». Secondo le associazioni che rappresentano le figure professionali interessate (Acta, Confassociazioni, Cna) il primo correttivo in termini di urgenza resterebbe comunque il blocco dell’aumento contributivo per gli iscritti alla gestione separata. Per questi professionisti l’aliquota è passata dal 27,72% al 29,72% e continuerà a salire fino al 33,72% nel 2019. L’incremento è stato introdotto dalla riforma Fornero, ma era stato bloccato già del governo Monti e poi anche dal governo Letta. Secondo Anna Soru, presidente di Acta, la sospensione dell’aumento è il provvedimento più urgente in quanto “si tratta della misura più iniqua e non giustificata, perché determina l’aliquota più alta di tutte”. Inoltre il maggior gettito risultante, come definito in origine, servirà a coprire l’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI, ora riformata dal Jobs Act), un ammortizzatore sociale di cui gli iscritti alla gestione separata non beneficiano in alcun modo. Per bloccare il cambio di aliquota le associazioni avevano presentato un emendamento al decreto milleproroghe già prima di Natale.

Per quanto riguarda proprio il piano fiscale invece, la competenza è del Ministero dell’Economia. I problemi derivano dalla legge di Stabilità che ha definito un nuovo regime dei minimi. Il vecchio regime si applicava ai minori di 35 anni, con un guadagno inferiore ai 30 mila euro l’anno lordi e poteva durare 5 anni. La logica sottesa è quella dell’alleggerimento fiscale destinato alle fasce di reddito più basse. La nuova soglia per i freelance è dimezzata a 15 mila euro. Le associazioni chiedono quanto meno di mantenere la vecchia soglia di 30 mila euro.

Non è vista invece positivamente la proposta che prevede l’estensione del vecchio regime anche al 2015. L’aspetto positivo della nuova disciplina è infatti che non si applica solo a di chi ha avviato una nuova attività. Se così fosse si tornerebbero a creare distorsioni di mercato. L’impostazione del regime non sarebbe inoltre logicamente sostenibile visto che una fascia di reddito non smette di essere debole dopo 5 anni o sopra i 35 anni d’età.

Le proposte non si esauriscono qui: I freelance chiedono delle modifiche anche sul piano del welfare, ossia il riconoscimento della malattia grave e invalidante per gli iscritti alla gestione separata. Con Daniela Fregosi, che attraverso il blog Afrodite K da circa un anno si occupa dei lavoratori autonomi colpiti da malattia, ACTA ha raccolto più di 50 mila firme per chiedere una copertura diversa per le malattie che siano diagnosticabili in maniera chiara. Secondo l’associazione ciò si potrebbe già fare con quanto gli iscritti hanno già versato, ossia quel 0,72% che non è sinora stato utilizzato per erogare prestazioni solo per pochi giorni e in quote molto contenute.

In attesa che le correzioni annunciate vengano disposte, è in ogni caso utile osservare che, la categoria delle professioni non regolamentate e dei freelance, è una categoria “giovane”, poco conosciuta sia dalla politica sia dal sindacato. Si tratta di un segmento che costituisce il prototipo per ripensare aspetti fondamentali della regolazione del lavoro del futuro, ossia proprio i sistemi di assistenza e di previdenza, fiscalità e rappresentanza. Un ulteriore banco di prova che, così visto e nonostante le difficoltà di copertura, per il Governo costituisce un’opportunità prima che una minaccia.