Il quantitative easing è ufficialmente arrivato. Il consiglio direttivo della Banca Centrale Europea ha approvato l’avvio del vasto programma di acquisto dei titoli pubblici per 60 miliardi di euro al mese fino a Settembre 2016.

Acquisto che, proporzionale alla quota dei vari paesi nel capitale della BCE, potrebbe comunque estendersi fino a quando non sia raggiunto il suo obiettivo, ossia un “sostenuto aggiustamento dell’inflazione” che corrisponde a un andamento dei prezzi intorno al 2%. 

Così ha annunciato Mario Draghi durante una conferenza stampa nella quale si è mostrato fermamente convinto della bontà del piano, rassicurando i giornalisti presenti rispetto ai dubbi già espressi dagli esperti di fronte alle anticipazioni.

Il Presidente della BCE si è mostrato particolarmente risoluto soprattutto in materia di ripartizione del rischio. Draghi ha infatti ammesso che la scelta di adottare un criterio di condivisione totale sotto il limite del 20% è stata adottata per rispondere alle preoccupazioni espresse da alcuni Stati; si è detto però molto sorpreso che questo sia stato l’aspetto che ha suscitato maggiore interesse. “Non dovrebbe essere così”, ha scandito Draghi, spiegando che una mitigazione del rischio è possibile innanzitutto perché la formula di ripartizione non è determinante per l’efficacia della politica monetaria in questione, mentre lo è per esempio nel caso degli OMT (ossia l’acquisto diretto dei titoli di uno Stato che abbia però avviato un programma di risanamento). Una discussione sul rischio che è inoltre messa al riparo dal fatto che la copertura per le operazioni è totale. 

Sulla scelta di agire in questo momento, ha sottolineato Draghi, c’è stata una larga maggioranza, grazie alla quale non c’è stato bisogno di ricorrere al voto. Sottolineatura che per converso significa che non c’è stata unanimità, come era però prevedibile.

Rispondendo anche alle critiche precedentemente avanzate, Draghi ha inoltre assicurato che sarebbe un errore interpretare la presenza del programma come un “monetary financing” degli Stati, proibito dal trattato sull’unione monetaria.

Inesistente anche il rischio di bolle speculative su alcuni assets. Potrebbero esserci sì episodi locali di specifici mercati che crescono più rapidamente, ma a ciò andrebbe posta attenzione indipendentemente dalla politica monetaria.

Infine Draghi ha espresso chiaro ottimismo sul fatto che il quantitative easing aumenterà la capacità di credito delle banche sostenendo che, come osservato dai più favorevoli al programma,  queste saranno indotte a prestare denaro, piuttosto che mantenerlo nei depositi della BCE, dove renderebbero con un tasso negativo. Proprio questo meccanismo costituirebbe un incentivo al prestito, molto più forte di quello messo in campo con l'LTRO, ossia i prestiti triennali provenienti dalla BCE seguiti all’inizio della crisi dei debiti sovrani.

Nonostante la discontinuità che l’avvio del programma dovrebbe segnare, Draghi è poi tornato sul suo cavallo di battaglia, invitando a considerare anche questo intervento all’interno del quadro di relazioni con gli Stati dell’Unione. "Quale politica monetaria crea crescita?". È la fiducia a permettere gli investimenti, e per la fiducia servono le riforme strutturali. Ma le riforme devono farle i Governi. Più i Governi saranno efficaci nel portarle avanti, più sarà efficace la politica monetaria della BCE.

Un promemoria che per l’Italia suona ancora come un urgenza. Il contratto a tutele crescenti, entrata in vigore promessa per per il primo gennaio, attende, e con lui il resto dei decreti del Jobs Act: la legge scelta da Renzi come simbolo della capacità riformatrici del suo Governo.