USA: autonomi al galoppo?

Negli Stati Uniti il lavoro autonomo sta crescendo a ritmi sorprendenti. Questo quanto afferma la rivista Forbes, che ha sottolineato a più riprese il fenomeno tematizzando un possibile futuro del lavoro fatto prevalentemente di professionisti indipendenti. I report che segnalano questo andamento sono numerosi. Un recente studio di MBO Partners rileva che gli “indipendent worker” sono già 30 milioni e che aumenteranno a 40 milioni entro il 2019. Secondo una rilevazione di SAP e Oxford Economics, l’83% dei manager statunitensi dichiara che le proprie aziende stanno aumentano il ricorso a lavoratori freelance. Tendenza che porta addirittura a stimare che nel 2020 il 40% dei lavoratori americani sarà autonomo.

Previsioni probabilmente azzardate viste le fluttuazioni del numero di lavoratori appartenenti a questa categoria (incorporated self-employed) registrate dal Bureau of Labor Statistic nell’ultimo decennio.



Nel più recente periodo però i dati dell’istituto confermano l’esistenza di un trend nettamente crescente.

Se ciò che succede oltreoceano è spesso considerato una probabile anticipazione del futuro globale, l’andamento del ricorso al lavoro autonomo è un attraente invito a immaginare una svolta generale nell’adattamento alla grande trasformazione del lavoro, sempre meno gerarchico e standardizzato.

Gli indizi a sostegno di questa prospettiva non si fermano alle statistiche. Significative anche le recenti scelte di Uber, Snapchat, Instagram e Wealthfront. Insieme a altre 4 aziende della Silycon Valley, queste compagnie hanno investito complessivamente 30 millioni di dollari in una sottoscrizione di azioni offerta da Elance-oDesk, una piattaforma per l’incontro tra domanda e offerta di freelancer.

E e in Italia?

Secondo l’Annual Impact Report di Elance-oDesk le nazioni dove l’impiego di lavoratori autonomi attraverso il sito sta aumentando maggiormente sono nell’ordine: Finlandia, Cina, Francia, Russia, Svezia, China, Francia, Russia, Svezia, Malta, Germania, Messico, Brazile e Romania.

L’Italia è assente dall’elenco. Comprensibile se si pensa che secondo i dati Istat, dal 2008 a oggi, gli autonomi hanno chiuso complessivamente 348.400 attività.

Al confronto con gli altri Paesi la serie storica dei dati Eurostat mostra anch’essa il calo degli autonomi italiani, che però in termini assoluti compongono il popolo degli indipendenti più nutrito d’Europa.

Non solo: anche in termini relativi si tratta di una categoria importante: sempre secondo l’Eurostat, nello Stivale la proporzione di lavoratori indipendenti sul totale dei lavoratori era del 23,3% nel 2013: una delle più alte dell’Unione.

Proporzioni confermate anche dall’OECD

 

Inoltre se si tenta un parallelo in termini di categoria e di fonte con quanto detto rispetto agli Stati Uniti, si può segnalare che secondo un ricerca condotta da Freelancer.com, uno dei siti di outsourcing più importanti in Italia, l’esternalizzazione è una scelta aziendale in costante crescita anchenel nostro Paese.

La similarità è anche sui dati ministeriali relativi al più recente periodo che riferiscono di un lieve aumento nel mese di luglio 2014, con l’apertura di 42.180 nuove partite Iva, +1,1% rispetto a luglio 2013.

Un segno del futuro?

Si tratta quindi di tendenze degli ultimi mesi, ma comunque suggestive, soprattutto al confronto con gli USA. A fronte di una progressiva difficoltà a fronteggiare le diverse crisi aziendali aperte sul territorio nazionale, i dati sugli autonomi impongono una riflessione sull’efficienza dei modelli organizzativi del lavoro.

Il ricorso al lavoro indipendente appare a molti come un metodo adeguato a rispondere alle rapide variazioni dei mercati. In quest’ottica si tratterebbe di una nuova e alternativa via all’impiego di contratti di parasubordinazione e instabili per rendere più flessibili i processi produttivi a seconda del fabbisogno di personale.

secondo una corrente di pensiero ormai diffusa risiede qui il futuro del lavoro, il cosiddetto lavoro 2.0, che supera l’impostazione gerarchica e standardizzata del modello fordista facendo della responsabilità individuale interconnessa il meccanismo di adesione alle fluttuazioni produttive.

Ciò sta persuadendo molti dell’importanza del fenomeno, non solo per l’agilità organizzativa, ma anche per le competenze trasversali che i giovani freelance portano con sé. Sanno adattarsi alle nuove tecnologie, sanno rendersi disponibili con orari flessibili e a distanza, assicurando un miglior rispetto delle scadenze. Indipendenza, molta competenza e responsabilità. Ecco la chiave.

Infine nella soluzione indipendente si intravedono anche le nuove basi per l’implementazione di modelli partecipativi più leggeri e liberi di quelli sviluppati sinora, senza grande successo, soprattutto in Italia.

Una nuove immagine per gli autonomi

Che si accolgano o meno con interesse queste previsioni, il crescente favore con cui viene osservata la variegata categoria dei lavoratori autonomi è comunque significativo. Sembrano nascere ora le premesse per una nuova immagine collettiva dei liberi professionisti, tradizionalmente inquadrati nei tipi delle “falsa partite IVA” o dei “ricchi evasori”, e approcciati alla stregua della controparte imprenditoriale da parte dei sindacati.

Si potrebbe auspicare anche qualcosa di più, ossia un cambio culturale rispetto alla consolidata concezione della flessibilità lavorativa, prevalentemente percepita come gioco di potere sulla pelle dei lavoratori e come adattamento al ribasso, rinuncia a diritti fondamentali. Nel fenomeno del ricorso al lavoro indipendente la flessibilizzazione è invece una risposta ai bisogni comuni all’interno di un impresa, bisogni di organizzazione e di competenze.

Italian freelance: vecchie e nuove avveristà

Nonostante le potenzialità dello sviluppo di un lavoro dipendente regolare e di qualità, le normative italiane presentano numerosi elementi di difficoltà, introdotti anche di recente e perpetrati con il Jobs Act e la Legge di Stabilità.

Per capire quali sono le categorie più colpite è necessario fare chiarezza all’interno del eterogeneo mondo degli autonomi italiani, che va dai parasubordinati, agli  artigiani, ai commercianti fino ai liberi professionisti. Tutti hanno conosciuto difficoltà di associazione e rappresentanza, ma c’è chi sta meglio e chi peggio. Proprio le differenze interne hanno infatti condotto a regimi contributivi diversi.

Artigiani e commercianti versano ora nella propria cassa, mentre gli altri professionisti versano i contributi alla gestione separata dell’INPS. Entro quest’ultimo segmento delle libere professioni, un’ulteriore distinzione importante è quella tra professioni regolamentate da un ordine professionale e professioni non regolamentate. Sono proprio queste , legate essenzialmente alla conoscenza, ad essere cresciute di più dagli anni Ottanta. Secondo i dati ISTAT aggiornati all’ottobre 2012, si tratta di 811 attività professionali e la complessità del settore risulta anche dall’alto numero di associazioni, circa 200 secondo il Cnel.

E’ principalmente da Acta, l’associazione dei dei consulenti del terziario avanzato, che è giunto l’allarme rispetto alle misure presenti nel Jobs Act e nella Legge di Stabilità 2015. Con la campagna #JobsActa l’associazione ha sottolineato come la nuova riforma del lavoro manchi del tutto di considerare gli autonomi laddove interviene sull’estensione degli ammortizzatori sociali e sul sostegno al reddito.

Era poi già stata la riforma Fornero a prevedere l’aumento dei contributi previdenziali per gli iscritti alla gestione separata. Contributi che devono passare nel 2015 dal 27,72% al 29,72%, per poi salire al 33,72% nel 2019. Come sottolineato da Acta, Alta Partecipazione e Confassociaizoni con l’iniziativa #dicaNo33, il disegno di Legge di Stabilità 2015 non solo non ha bloccato questi aumenti, ma ha invece agevolato ancor di più la cassa artigiani e commercianti eliminando i minimi contributivi. Con queste condizioni sarebbe conveniente per molti liberi professionisti il passaggio a questa cassa soggetta a un aliquota del 23%. Finti commercianti e artigiani per sopravvivenza, insomma.

Verso l’equità?

Si tratta di misure che sembrano andare in direzione esattamente contraria a quell’equiparazione contributiva invocata a più riprese e in più sedi. E’ del 14 gennaio 2014 la risoluzione del Parlamento europeo che sottolineando la necessità di introdurre tutele sociali per tutti, inclusi gli autonomi. Tiziano Treu, Commissario straordinario dell’INPS, il 30 ottober durante una audizione aveva ribadito l’esigenza di uniformare le aliquote, sostenendo l’eliminazione della gestione separata. Infine una sponda decisa in favore della rivendicazione delle associazioni dei freelance è arrivata da Cesare Damiano, Presidente della Commissione Lavoro della Camera, che nei giorni scorsi ha ripetuto più volte la necessità del blocco dell’aumento d’aliquota.

Tutti auspici sinora disattesi. Fatto che non può che prestare il fianco alle accuse secondo cui il l’effetto congiunto di Jobs Act e Legge di Stabilità alimenterebbe un nuovo dualismo del mercato del lavoro. Anche trascurando infatti la questione dell’articolo 18, le condizioni previste per i lavoratori autonomi sembrano indicare quanto meno trascuratezza. Prevedere interventi a favore anche di questa categoria significherebbe non certo risolvere i problemi dell’occupazione nel paese. Vorrebbe dire piuttosto comprendere che nel tessuto produttivo italiano il lavoro autonomo può costituire un vero punto di forza, anche per le imprese, favorendo lo sviluppo di quelle nuove professioni creative che altrove trainano la crescita.