Le ultime rilevazioni dell’Istat fanno sapere che, rispetto al mese precedente, a gennaio 2015 l’export si è contratto del 2,5%. Positivo però il trend se si tiene invece conto del trimestre. L'export risulta qui in espansione dello 0,5%, dato che sale all’1,4% se si trascura il forte calo dei prodotti energetici. Un dato rassicurante, che conferma quello complessivo sul 2014, anno durante il quale le esportazioni italiane sono cresciute complessivamente del 2% dopo un 2013 a variazione zero.

L’italia si conferma quindi solida nella sua vocazione esportatrice, caratteristica che la accomuna alla Germania, rispetto alla quale nella congiuntura attuale sarebbe addirittura più avvantaggiata. Così la pensa il premio Nobel Michael Spence intervistato da Repubblica. Nella congiuntura favorevole l’Italia è favorita, anche più dell’economia tedesca perché esporta soprattutto quei prodotti più sensibili alle variazioni di prezzo e di qualità.

Ciò che ha distinto l’industria italiana di successo non è stata in effetti semplicemente l’attitudine al commercio estero. Il rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi lo ha attestato già a febbraio 2014: a tenere alto il livello di competitività erano state qualità e innovazione.

In particolare il rapporto, stimando il contributo al successo (cioè l’aumento sia del fatturato interno sia del fatturato esterno) fornito da alcune caratteristiche delle imprese, ha collocato nell’ordine l’alta connettività, le innovazioni di processo, gamma e formazione. La connettività non è da intendere in senso meramente digitale, bensì come risultato combinato della varietà degli strumenti utilizzati nell' attivazione delle relazioni, ampiezza della rete di soggetti coinvolti e estensione geografica coperta dalle relazioni. È evidente però oggigiorno si tratta di aspetti direttamente legati alla capacità di stare sulla rete.

Significativo che per queste imprese il ridimensionamento di attività giochi negativamente nella probabilità di appartenere al meritevole club dei vincenti.

A volerla leggere in rapporto all’attenzione mediatica catalizzata dagli interventi del Governo sull’economia e sul mondo del lavoro, questo dato potrebbe indicare una sostanziale sterilità del grande dibattito formatosi attorno alla questione dell’articolo 18 e alle relative assunzioni previste. Almeno per quanto riguarda la manifattura, ben più determinante per le sorti dell’economia saranno quegli interventi che impattano sulle capacità di ricerca e sviluppo delle aziende e sulle infrastrutture digitali.

In termini culturali ciò significa smettere di guardare al digitale come uno dei settori di sviluppo, ma considerarlo come una condizione che permea la capacità competitiva del tessuto industriale.

Ciò sia a livello dei processi sia a livello dei prodotti. Il rapido sviluppo del settore del cosiddetto Internet of Things, (IoT, ossia la connettività dei prodotti materiali alla rete) a livello mondale parla chiaro. E a rendersene conto per prima in Europa sembra essere stata la Germania. Secondo quando ritportato dal Wall Street Journal, e più tardi dalla cancelliera Angela Merkel alla conferenza CeBIT di Hannover, i più grandi gruppi di telecomunicazioni del paese si alleeranno allo scopo di diventare competitivi sul mercato globale, raggiungendo le rivali americane. L’accordo in questione dovrebbe essere siglato dalla Deutsche Telekom e dalla SAP SE per uno sviluppo a due filoni principali: nuovi software per i dispositivi IoT e la concomitante necessità di protezione dati. Non solo, parola sempre di Merkel, la Germania ha già chiaramente identificato la Cina come “il partner più importante per lo sviluppo di tecnologie sofisticate“.

È guardando proprio alla crescente esperienza tedesca della fabbrica 4.0 che in Italia si comincia a parlarne. A farsi avanti è stata recentemente Confindustria Digitale secondo la quale la sinergia tra manifattura e servizi innovativi costituiva già circa l'8% del Pil nazionale del 2014.

Tuttavia il caso della collaborazione tra i privati sostenuta dal Governo in Germania, mostra la sua differenza rispetto a quanto sta accadendo in Italia attorno al Piano Banda Ultralarga e Crescita Digitale. Qui la contestata richiesta di Telecom di essere azionista di maggioranza di una nuova società per lo sviluppo della fibra ottica insieme ad altri grandi player ha dato vitainvecea un piano indipendente del colossocasalingo delle tlc,incentrato sulla proprietaria in rame.

Nonostante ciò il piano riscuote grandi aspettative da parte di Confindustria e Assinform. Quest’ultima ha comunicato lunedì le proiezioni per il mercato dell’iCT che vedono una crescita stimata dell’1,1% dopo il -4,4% del 2013 e il -1,4% del 2014.

Anche Telecom stessa ha dichiarato per voce dell’ad Marco Patuano che tornerà ad assumere dopo sette anni. Il presidente del gruppo ha poi aggiunto in un’intervista al Corriere della Sera che sarebbe in atto un vero e proprio “nuovo corso” che cambia la domanda interna di digitale sia da parte dei privati sia da parte delle imprese. Fatto che motiva i 14,5 miliardi di investimenti del piano triennale della compagnia.

L’ attitudine crescente al digitale interesserebbe anche le PMI visto il protocollo siglato tra Confcommercio e Facebook per aiutare le aziende a crescere grazie ai social network e al web.

Se però sul fronte dell’e-commerce la consapevolezza dell’importanza del digitale sembra mettere definitivamente radici, un gap di competenze potrebbe registrarsi in futuro per quanto riguarda un altro dei trend globali che si sta imponendo trascinando la domanda di occupazione specializzata negli Stati Uniti. Si tratta del fenomeno dei Big Data, ossia dell’enorme produzione di dati che i comportamenti quotidiani generano nell’era digitale, un effetto evidentemente connesso allo sviluppo dell’internet of things. Secondo Confindustria digitale entro il 2020 si registrerà una carenza fra le 100 mila e 200 mila unità in questo campo, nonostante il mercato dell’analisi dei Big Data in Italia sia cresciuto del 25% nel 2014. Puntare sulla formazione in data analysis sembra quindi promettere molto bene.