Uno dei migliori studiosi del mondo digitale, Sree Sreenivasan, ammonisce i suoi studenti: «Nessuno presterà attenzione a quel che lanciate online, fino al momento in cui commetterete un errore: allora tutti se ne accorgeranno e vi verranno addosso». La manager incauta che postò prima di volare in Sud Africa una battutaccia razzista e atterrando si trovò licenziata, Elon Musk e la sua rivoluzionaria azienda Tesla punite in Borsa per i tweet sulla vicenda dei bambini indonesiani bloccati in caverna, il ministro Toninelli che scherza tra taglio dei capelli e tragedia di Genova testimoniano della saggezza di Sree. 

Per la nostra attenzione residua competono le piattaforme giganti, Google, Facebook, Amazon, Apple, e con loro i nefasti troll russi dell’Agenzia Ricerca Internet, disinformazione finanziata da Putin. Il programma di controllo sociale varato dal presidente cinese Xi Jinping, il più capillare della storia umana con ogni cittadino a ricevere un punteggio social per il suo comportamento digitale, incluso in futuro il riconoscimento facciale, conferma come il dominio statale, non solo economico, sull’attenzione degli individui sia il contratto sociale del XXI secolo. 

A questi temi dedica uno snello pamphlet Beniamino Pagliaro, giornalista digitale che con il titolo Attenzione! Capire l’economia digitale ti può cambiare la vita (Hoepli, pp. 144, € 14,90) esamina per il lettore la competizione per i nostri occhi, cervello e animo, campo di battaglia cruciale del presente. Pagliaro parte dai temi lanciati dallo studioso di Oxford Viktor Mayer-Schoenberger che nei suoi saggi analizza come i Big data, la massa delle informazioni raccolte on e off line, mutino economia, politica, cultura. Ma la sua storia di cronista lo conduce presto a parlarci di informazione e giornalismo, lamentando il declino degli old media a petto del web, e proponendo un sistema «ibrido» di comunicazione dove tradizionali contenuti di qualità convivano con le effimere stories di Instagram e Facebook, dove tutto dura - o almeno così pare ai superficiali - solo un attimo.  

Pagliaro tocca, in un breve capitolo, il tema delle fake news e cita gli studi italiani di Walter Quattrociocchi, che, da Imt Lucca a Ca’ Foscari, ha dimostrato quanto difficile sia contrastare il «Falso» con il «Vero» e quanto, in un’epoca di polarizzazione politica e culturale, ciascuno di noi tenda a credere e diffondere la propria «verità», ignorando la realtà a vantaggio delle proprie opinioni private. 

Per chi voglia un’introduzione ai temi del funzionamento del mercato e dell’informazione al tempo di Instagram, il lavoro di Pagliaro è chiave preziosa e lo consigliamo agli insegnanti che volessero preparare in tal senso gli studenti. Ma al di là della didattica, Attenzione! accenna, sia pure in modo iniziale, ai formidabili e tragici nodi che stringono il nostro tempo. Davvero ha ragione il «popolo», come il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio sostiene, davanti alla scienza economica che prevede guai per l’Italia indebitata? Bastano gli errori di sussiego di certi scienziati a giustificare l’odio irrazionale per la scienza genetica, medica, sociale? 

Pagliaro discute di algoritmi, i filtri che selezionano le nostre ricerche, dandoci sì il ristorante cinese a noi più prossimo, ma anche presto decidendo se avremo o no un posto di lavoro, un mutuo e magari domani assistenza medica, ma alla fine gli algoritmi altro non sono se non «opinioni» espresse in codice informatico, previsioni e analisi, esattamente come quelle soggettive di un editoriale, o magari quelle di questa recensione, e in quanto tali sono soggetti a regole, revisioni, dibattiti, polemiche. Sbaglia chi dice che contro le fake news non ci sia «nulla da fare», che l’epidemia di sfiducia presente debba esaurirsi da sola, perché la disputa per la nostra attenzione, vale a dire per la formazione dell’opinione pubblica critica cara dal 1962 agli studi di Habermas, deciderà della sorte delle nuove generazioni. Avranno un lavoro, un pianeta vivibile, libertà? 

Serve piuttosto - Pagliaro ne è consapevole anche per la sua storia familiare con un nonno vittima delle leggi razziali - una battaglia culturale e morale perché la tecnologia difenda la democrazia e non finisca ostaggio, come tante volte in passato, del totalitarismo. Attenzione! si conclude dove si apre dunque l’impegno del domani per quelli che Hal Varian, capo economista di Google, chiama «i migliori content provider», vale a dire i giornalisti. Pionieri come Julia Angwin, sono persuasi che «il nuovo giornalismo deve basarsi sui dati. L’obiettività è stata un falso mito a lungo... ma la nuova stella polare del giornalismo, un approccio filosofico rivoluzionario, deve essere il metodo scientifico». 

In un Paese come l’Italia, dove il 25% dei cittadini non è ancora online e giornalisti e politici detestano la tecnologia, la strada è ardua, ma resta indispensabile. Magari ricordandosi che a parlare di «cultura nuovo-scientifica» sui giornali fu per primo nel dopoguerra Elio Vittorini, dal suo magnifico periodico Il Politecnico non a caso irriso dal segretario comunista di allora, Palmiro Togliatti.