Quando gli analisti americani che seguono la Cina hanno cominciato a vedere, nei documenti ufficiali o top secret, troppe volte citato il nome Alfred Thayer Maham l’allarme s’è diffuso a Washington.
Poco conosciuto dal grande pubblico, l’ammiraglio Maham (1840-1914) è per la strategia navale quel che Clausewitz è per la fanteria, e se i cinesi ne citano il saggio fondamentale «The Influence of Sea Power upon History» è perché, anche nel secolo digitale, il controllo degli oceani decide le sorti dei commerci, della geopolitica, della guerra.

Il Pacifico tra Usa e Cina
La visita del segretario generale del partito comunista del Vietnam Nguyen Phu Trong a Washington, martedì, risponde alla logica dell’ammiraglio Maham cara ai cinesi: le rotte dell’Oceano Pacifico, dal Mar Cinese Meridionale all’Oceano Indiano e al Golfo Persico, sono teatro del grande duello strategico tra la Casa Bianca e il presidente cinese Xi Jinping. Un generale vietnamita ammette sorridendo «Gli americani sono stati nostri nemici per mezzo secolo, i cinesi per due millenni» e così il presidente Barack Obama, dopo aver ricevuto il presidente vietnamita Truong Tan Sang nel 2013 e aver incontrato in Birmania il premier Nguyen Tan Dung rompe il protocollo incontrando il capo di un partito, non un leader di governo, conscio che il segretario Trong è l’uomo più potente del Vietnam.
Tra i temi in discussione, il patto su commerci e cooperazione economica Tpp, che Obama in extremis è riuscito a far passare al riluttante Congresso, e che vede la Cina isolata con la Corea del Nord, davanti a una cooperazione pacifica che la esclude.
La pressione cinese nel Mar Meridionale cinese avvicina a Washington vecchi rivali come il Vietnam, tradizionali alleati come Australia e Nuova Zelanda, alleati della Guerra Fredda come il Giappone. Da quelle acque transita, in potenza, il 40% del Pil mondiale.

I nemici interni
In America la senatrice democratica di sinistra Elizabeth Warren s’è battuta contro il Tpp, Hillary Clinton fa la riottosa corteggiando il voto dei sindacati verso la Casa Bianca 2016, il Nobel Paul Krugman fa il protezionista temendo per i posti di lavoro. Ma i consumatori vedranno arrivare merci a buon prezzo, gli agricoltori esporteranno beni finora sottoposti a dazi, i marchi americani accederanno all’export verso paesi in crescita rapida. Al Vietnam – calcola lo studioso Ian Bremmer – il patto Tpp assicura una crescita del 10% in dieci anni, alla Malaysia del 5-6%.

L’origine contadina
Quando i soldati del generale Giap assediavano i marines nella vecchia cittadella imperiale di Hue, nel 1968, la battaglia che spezzò i nervi del presidente Johnson, il segretario Nguyen Phu Trong aveva 24 anni, ma anziché mandarlo a combattere nelle risaie il partito cui si era appena iscritto, lo spedì a lavorare come redattore alla rivista teorica dei comunisti, Tap chí Cong San «Rassegna Comunista». La sua scheda biografica, allora obbligatoria per tutti i quadri, recitava laconica: «Di origine povera e contadina».
Dopo la scuola di partito e l’università, specializzato a Mosca, e una carriera brillante, Trong è adesso il comunista che apre con cautela al mercato, provando a non irritare la vecchia guardia anti-americana di Hanoi. Teme la guerra con i comunisti capitalisti di Pechino, cerca alleanza economico-militare con i capitalisti di Washington. Il mondo globale è ricco di contraddizioni, 40 anni fa a Saigon la bandiera a stelle e strisce fu ammainata per alzare la bandiera rossa con la stella gialla di Hanoi, nel 2015 i due vessilli garriscono insieme in manovre militari congiunte che hanno, come obiettivo non dichiarato, la prima flotta d’alto mare che Pechino si accinge a varare dai tempi dell’Impero, comprese due portaerei.

La Banca asiatica
Sorpresa dalla reazione di paura che ha accolto l’offensiva sugli isolotti Senkaku-Diaoyu, contesi al Giappone, la costruzione di isole artificiali al largo del Mar Cinese Meridionale, su rotte battute da Brunei, Malaysia, Filippine, Taiwan, Vietnam per i commerci, la pesca e le risorse sottomarine da sfruttare, ma soprattutto da un bilancio militare che registra il +10,1% nel 2015, Pechino ha cambiato tattica, lanciando la Banca asiatica di sviluppo Aiib, finanziata con 50 miliardi di euro. Goffamente Obama ha invitato europei e Giappone a non aderire, solo per vedere la storica amica, la Gran Bretagna, firmare per prima l’accordo Aiib con Xi Jinping (anche l’Italia ha, meritoriamente, aderito).
Scottato, Obama ha fatto marcia indietro, in fondo Aiib può essere partner per i contratti commerciali Tpp, ma la Banca di sviluppo nasce anche dall’ammissione cinese di un errore, la maschera da Signori della Guerra non conquista consensi nel Pacifico.

Le isole contese
Chissà se Obama e Trong ragioneranno di Quemoy e Matsu, remote isolette cinesi che il generale nazionalista Chiang Kai-Shek rivendicava per Taiwan dopo la guerra civile cinese e che Mao Zedong prese a bombardare nel settembre del 1954, per fare il duro mentre a Ginevra si negoziava sull’Indocina e il Nord Vietnam era stato costretto a far concessioni. Il presidente Eisenhower arrivò a temere la guerra nucleare per quelle anonime rocce, si arrivò vicini all’apocalisse come a Cuba, e Mao concluse «Quemoy e Matsu sono il cappio che ho messo al collo all’America, posso stringerlo quando voglio».
Obama e i vietnamiti non vogliono cappi, perché Washington ed Hanoi non hanno ancora compreso se Xi Jinping, impegnato nella sua rischiosa campagna contro la corruzione che investe ormai anche le forze armate, seguirà la lezione di controllo degli oceani dettata dall’ammiraglio Maham o invece affiderà l’egemonia cinese ai finanziamenti della Banca di sviluppo. Un dilemma cruciale delle prossime stagioni.