Il dibattito sulla nuova Costituzione in Tunisia ha visto i giuristi battersi per diritti delle donne e delle minoranze di cristiani e di ebrei, laicità dello Stato contro la legge islamica sharia. Chi, nel XX secolo, avesse azzardato una simile idea sarebbe stato considerato un matto. E chi, alla fine del Novecento, quando a Mosca il dissidente ucciso pochi giorni fa, Boris Nemtsov, sembrava a un passo dal Cremlino come erede di Boris Eltsin, avrebbe previsto una Russia il cui leader, Vladimir Vladimirovich Putin, dichiara di «voler mobilitare l’arsenale nucleare» a difesa dell’annessione della Crimea? O chi, nel 2010, quando il presidente Barack Obama annuncia la prematura «svolta» verso la Cina a scapito dell’Europa, avrebbe immaginato che cinque anni dopo la Casa Bianca avrebbe implorato gli antichi alleati di non partecipare alla Banca di Sviluppo lanciata da Pechino, la Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), solo per vedersi sbattere la porta in faccia? Italia, Germania, Francia e perfino i gemelli anglosassoni britannici, hanno detto di no a Obama e aderito alla Aiib, che con un capitale iniziale di oltre 50 miliardi di euro, rivaleggerà con la Banca Mondiale, togliendo a Washington lo storico strumento di governo del pianeta, ereditato con il Fondo Monetario dagli accordi di Bretton Woods 1944.  

Non prendetevela troppo con i nostri leader, né con gli analisti educati dalla Guerra Fredda, tutti stentiamo a comprendere e agire nel mondo nuovo. La mossa di Obama, «guardare all’Asia, ritirarsi dal vecchio Medio Oriente e dalla vecchia Europa», sembrava logica, ma l’ascesa militare cinese - Pechino sta varando la seconda portaerei -, lo Stato Islamico tra Siria e Iraq e la guerra in Ucraina riaprono il fronte Sud-Ovest, dal Mar Mediterraneo al fiume Don. Obama ha pressato l’Unione Europea perché restasse fedele allo status quo, ma neppure gli americani lo sono più e bene hanno fatto dunque gli europei a collaborare con il presidente Xi Jinping, il dirigente comunista più forte dopo Mao Zedong. Pechino aveva fatto la voce grossa con il Giappone sulle isole Senkaku-Diaoyu, spaventando Filippine, Australia, Vietnam col formidabile bilancio militare, +10,1% nel 2015. Ma Xi comprende che la mobilitazione bellica avvicina i Paesi asiatici all’America contro la Cina, e muta passo, giocando la carta Aiib, meglio lo stile tecnocratico da Draghi asiatico della spesa, che non il rombo di caccia del Drago imperiale. 

Il dibattito corrente resta binario, Si-No, Bene-Male, Giusto-Sbagliato, la realtà cangia come nella teoria del Caos, premiando chi si adatta in fretta. Il Vaticano, che fermò il blitz di Obama contro Assad in Siria, fa sapere ora di non obiettare a raid alleati contro la persecuzione anticristiana di Isis. Fiaccati dalla crisi finanziaria 2008, dimentichi della Jugoslavia e persuasi che l’ordine regnasse perenne, gli europei hanno tagliato i lillipuziani investimenti nella Difesa e nella cyber guerra, per scoprire che si combatte lungo tutte le frontiere dell’Unione. Riarmano già Paesi baltici, Polonia e Svezia, Parigi e Londra riconsiderano la spesa militare, la Nato si sgola a chiedere che i membri, Italia inclusa, infine spendano il 2% pattuito. 

«In guerra - diceva lo stratega von Clausewitz - l’unica certezza è l’incertezza» e la sua massima può farci da cauta guida nei giorni del Museo di Tunisi, dell’Ucraina, del minaccioso ritorno degli arsenali atomici che Obama sognava di chiudere. In Iraq, a Tikrit culla di Saddam Hussein, le milizie sciite mobilitate dall’Iran, dopo aver per anni fatto strage di American Snipers, fronteggiano l’Isis, alleate, di fatto, se non di nome, dei loro nemici di ieri. Il capo di stato maggiore Usa, generale Dempsey, vede perplesso Hezbollah, Hamas, le milizie sciite, il generale persiano Suleimani, nemici giurati dal 1979, mutare obiettivi. 

Ogni editoriale forbito, feluca di buon senso e laureando di buona volontà, giurava fino a ieri che la sola soluzione al conflitto Israele-Palestina, fosse nell’accordo Due Popoli-Due Stati. Bibi Netanyahu si avvia a essere il leader più longevo nella storia dello Stato ebraico, giurando l’opposto, «Mai uno Stato palestinese!». Il Disordine batte l’Ordine, ovunque, nel 2015: o che forse i rispettabili senatori repubblicani Usa, come grillini intemperanti d’Oltreoceano, non scrivono di pugno agli ayatollah iraniani per boicottare il loro Presidente e Capo delle Forze Armate, sul trattato nucleare con Teheran? 

Diffidate dunque da chi offre soluzioni Ikea, di facile montaggio, «Guerra all’Isis subito!», «Un lavoro ai disoccupati arabi e sarà la fine del terrorismo!», «Basta sanzioni a Mosca!», «Armi a Kiev!». La I guerra globale sarà vinta con grande e complessa fatica, impegno militare, economico, diplomatico, ideale, religioso. Il passato remoto conta più della cronaca di oggi, i militari ristudiano la battaglia di Ayn Jalut, 1260, quando per la prima volta i Mongoli vennero battuti dagli egiziani che ne riproducono disciplinati le cariche a «ondate», Lepanto 1571, l’assedio di Vienna 1683. Henry Kissinger ricorda nel saggio «World Order» che la Russia ha guadagnato 100.000 chilometri quadrati di territorio l’anno, dal 1552 al 1917 della Rivoluzione, Putin è la norma non l’eccezione. Il terrorismo islamico, Mosca all’offensiva, una Cina possente con cui fare saggi accordi commerciali, non sono «news», notizie impreviste, ma il ritmo della Storia, che antico risuona nel secolo digitale dei social media.