Date le spalle al Parco Radical di Deodoro, Rio de Janeiro, dietro le strutture lucide dove competeranno gli atleti del basket, hockey, ippica, tiro, oltre gli specchi d’acqua del canottaggio delle Olimpiadi 2016, e intravedete un muretto basso, ricoperto da sterpaglia incolta. È il cimitero Ricardo de Albuquerque, dimenticato, croci male interrate, slavate dal sole, senza nomi, solo numeri, 32.504, a marcare le fosse comuni dove, prima del miracolo economico brasiliano, venivano seppelliti i poveri delle favelas.  

 

Oggi il Brasile apre, con gioia e preoccupazione, i Giochi Olimpici, è sotto inchiesta la presidente Dilma Rousseff sostituita dall’incolore vicepresidente Michel Temer, e qualche anziano brasiliano si impolvera le scarpe di terra, ritornando dove un tempo c’era il camposanto. A Deodoro, dove ora cantano i tifosi, durante la dittatura dei generali, 1964-1985, incombeva Vila Militar, e la 1ª Companhia de Polícia do Exército torturava studenti, operai, artisti. Almeno in tre morirono per le sevizie, registrati «suicida in cella» e seppelliti in silenzio al Ricardo Albuquerque, in piena vista, oggi, degli stadi olimpici. 

 

Non c’è luogo migliore per comprendere come, accanto a sport, business, turismo, ansia terrorismo, zanzara Zika, speranza di cancellare l’umiliazione del 7-1 in casa contro la Germania del Mondiale 2014: le Olimpiadi siano per i brasiliani un esame di coscienza serio. Che ne è delle speranze seguite alla democrazia, l’entusiasmo per il presidente sindacalista Lula, il boom economico che sembrava fare di Rio e Brasilia le stelle del mondo globale? «Abbiamo vinto i Giochi durante la migliore stagione dell’ultimo mezzo secolo - mastica amaro Rodrigo Tostes, direttore operativo di Rio 2016 - e li inauguriamo nei giorni peggiori degli ultimi 50 anni». 

 

Il blogger Mauricio Savarese condensa su Origami l’umore nazionale, nella battuta «è ogni giorno 7-1», perché tra inflazione, disoccupazione, caos politico con la richiesta di impeachment per la Dilma, la vigilia dei Giochi è opaca. «La Seleçao, nostra amata nazionale, ha fatto pena al Mondiale 2014 e alla Copa America 2016 perché non giochiamo come squadra, mandiamo in campo 11 talenti senza strategia. Purtroppo ripetiamo l’errore in economia ed ecco gli autogol», spiega l’amministratore delegato di una grande azienda internazionale.  

 

Rio, che per il suo governatore «è in virtuale bancarotta», spenderà per i Giochi 4,1 miliardi di dollari, noccioline rispetto ai 51 che Zar Putin ha dilapidato per i Giochi invernali di Sochi 2014, 7,1 solo per il trenino verso la stazione sciistica Krasnaya Polyana. Quanto basta però per far saltare i bilanci e mettere il muso a tanti brasiliani, secondo i sondaggi Datafolha la metà della popolazione si oppone ai Giochi, contro il 25% del 2013. Il bilancio in rosso di Rio de Janeiro ha lasciato in lizza per i Giochi 2024, solo Los Angeles, Parigi e Budapest, dopo i forfait di Boston, Amburgo e i dubbi di Roma («La sindaca Raggi lascia intendere che dirà di no» ammette in privato un alto dirigente del Cio). 

 

L’economista Andrew Zimbalist, nel saggio «Circus Maximus», dimostra come i Giochi non portino effetti benefici al turismo e alla città ospite da Barcellona 1992, lasciandosi dietro debiti, malumore, impianti fatiscenti. Qualcuno si chiede perfino se tra scandali di corruzione, doping di Stato in Russia, con la farsa degli atleti sospetti riammessi dalle Federazioni malgrado il dossier di accuse al Cremlino della Wada, ente anti droga sportivo, le Olimpiadi alla De Coubertin non abbiano perso per sempre fascino. Lo storico David Goldblatt, nelle 516 pagine del monumentale tomo «The Games: A global history of the Olympics», redige una requisitoria violentissima, razzismo, business avido, sprechi, doping hanno stuccato l’opinione pubblica e il movimento «NOlympics» dilaga ovunque. 

 

In Brasile i dimostranti hanno spento la fiamma, che arriva oggi allo stadio Maracanà, mentre ad Angra dos Reis, Sud di Rio, Dona Irene, nonnina di Mossorò, nel Nord Est, spopola su YouTube con il video della sua singolare impresa: ha acceso la scopa di casa con la fiamma olimpica. 

 

Milioni di brasiliani sono preoccupati che le Olimpiadi, conquistate con orgoglio per essere a pieno titolo super potenza, confermino come la miseria, crollata dal 24% del 2000, resti troppo alta per un Paese sviluppato. Savarese nota arguto su Twitter «i brasiliani criticano il Brasile, lo difendono se a criticare sono gli stranieri». Un giro in autobus nella Rio invernale dei Giochi conferma: si teme il giudizio del mondo e ci si arrocca in difesa, inedito nella patria del football. 

 

Il rimpianto di strada tracima negli editoriali e in tv, «Almeno ai tempi dei militari c’era ordine!», e i blindati dell’esercito, pattuglie anti terrorismo, sono ripresi con il telefonino da sorridenti ragazze in short. I commilitoni di guardia al TBA, in gergo il confine triplice Paraguay, Brasile, Argentina, controllano ogni pacco contro il terrorismo, dopo che la polizia ha sgominato una cellula islamista locale. Alla dogana TBA di Foz do Iguaço si rileggono i dispacci americani che Wikileaks ha rivelato nel 2009 «Ufficialmente il Brasile non ha terrorismo islamico, in realtà il milione di residenti musulmani nasconde parecchie cellule attive. Il confine TBA è un crocevia caldo di terroristi». 

 

I Mondiali 2014 furono un disastro sportivo per i brasiliani, ma funzionarono alla perfezione, come per Londra 2012 e Milano Expo 2015, le fosche previsioni dei cronisti ansiogeni si rivelarono fallaci. Rio, davanti alle spiagge grigie dell’inverno, stringe i denti per la doppietta, che vincano sport e organizzazione. Che i Giochi siano la riscossa, però, nessuno lo spera sul serio, la primavera sarà calda, con Dilma e l’economia appese a un filo. Si spera dunque in strada che, per i prossimi venti giorni, non sia sempre «7 a 1». A chi ha dubbi che la democrazia non sia meglio della dittatura, infine, basta saltare il muretto di cinta a Deodoro, tra gli stadi smaglianti e le povere fosse dimenticate dei giustiziati al camposanto Ricardo de Albuquerque e ricordare cosa Rio ha alle spalle.