La Pellegrini attacca tutti «a cazzotti», la schermitrice Errigo il suo coach Tommasini, Montano atleta-showman se la prende con i russi, il pugile Russo con i giudici. Vincere è difficile, perdere Italian Style di più. Ci sono ai Giochi Olimpici di Rio, ieri sotto la pioggia battente, 11.000 atleti per 306 discipline, moltiplicando per oro, argento e bronzo e considerando gli sport di squadra, poche centinaia di sportivi tornano a casa vincendo. Vincere con stile è dura, il sudafricano Le Clos provoca il rivale americano Phelps nel nuoto, sbattendogli sulla faccia i muscoli in riscaldamento, Phelps, cappuccio dell’accappatoio levato come un monaco, lo folgora con uno sguardo di odio che il web adora. 

C’è chi perde ed entra nella leggenda, il maratoneta Dorando Pietri, squalificato a Londra 1908. Il “brocco” Eddie “Aquila” Edwards, saltatore con gli sci, e il bob della Giamaica, finiscono immortalati nei film di Hollywood per la loro bizzarria. A Los Angeles 1984 la maratona femminile va a Joan Benoit, la folla idolatra la svizzera Gaby Andersen-Schiess, che, contratta dagli spasmi della disidratazione, impiega 5 minuti per l’ultimo giro. Ettore perde contro Achille nell’Iliade, ma la sua gloria –l’eroe lo sa e accetta il destino- non è minore. Che sconfitta è quella di Yusra Mardini, nuotatrice profuga, celebrata per nobiltà d’animo? L’etiope Habte arriva nei 100 metri stile libero 15 secondi dopo gli altri, ma fa innamorare gli spettatori, emulo di Eric «Anguilla» Moussambani, che ai Giochi del 2000, per la Guinea Equatoriale, si tuffa per la prima volta in una piscina olimpica, nuota come un pensionato a Ferragosto, impiega il doppio del vincitore, e a sorpresa vince, gli altri concorrenti squalificati per falsa partenza. 

Non è vera sconfitta perdere entrando nel cuore dei tifosi. Pensate invece a chi arriva a Rio de Janeiro, viaggiando per migliaia di chilometri, e in pochi secondi è eliminato e dimenticato. Alexa Moreno, ginnasta messicana, viene sbeffeggiata dai trolls del web «troppo pingue», e tantissimi corrono in suo sostegno, come per le arcieri italiane, che chili o no, i video di youTube consacrano in eterno. L’arciere libico Ali El Ghrari, superato dall’americano Ellison, suscita curiosità mentre i due paesi, un tempo nemici, combattono con armi più cruente i terroristi di Isis.  

I veri «perdenti» delle Olimpiadi sono allora gli atleti anonimi, Nina Rangelova, 25 anni, bulgara di Plovdiv subito eliminata nel nuoto, l’italiano Alessandro De Marchi, con 6 ore e 30 minuti è ultimo classificato nel ciclismo su strada al 63esimo posto, al traguardo 20 minuti dopo il campione belga Van Avermaet? Dietro De Marchi ci sono ancora, però, i corridori fuori tempo massimo o ritirati, ultimissimo nella puntigliosa classifica ufficiale il russo Aleksei Kurbatov. Cercate online sue notizie e imparate di Aleksei Kurbatov, servo della gleba ai tempi dello Zar Pietro, inventore delle tasse postali russe, assurto al rango di ministro e morto nel 1721, o del compositore Aleksei Kurbatov, nato nel 1983, ma del Kurbatov ciclista nulla. «Maglia nera» si diceva ai tempi ruggenti dei primi Giri d’Italia, quando l’ultimo in classifica riceveva piccoli premi e il furbo Malabrocca forava apposta per aggiudicarseli.  

Riserva delle ultime

Eppure Kurbatov, che non ha finito la gara, è meno «ultimo» di Alison Williams. Alison è una strepitosa atleta americana di 26 anni, campionessa di nuoto sincronizzato. Si allena dal 2000 per le Olimpiadi, passando fino a 6 ore al giorno in piscina, in California, pinzetta al naso, nelle moine acquatiche rese celebri dall’attrice Esther Williams, che mascherano fatica bestiale. Ma Alison è riserva, in gara andranno le compagne Koroleva e Alvarez. A meno di infortuni Alison le guarderà in tv, più ultima di Aleksei. 

Destino infausto? C’è di peggio, c’è la squadra americana di pallamano che da cinque Olimpiadi non arriva alla fase finale e ha fallito perfino la qualificazione al torneo di qualificazione per Rio 2016. Kurbatov c’è, la Williams, a bordo vasca, pure, la pallamano Usa resta a casa, la sconfitta assoluta condivisa da migliaia di sportivi in ogni nazione. Come è possibile, lamentano i tifosi, che gli Usa di Lebron James e del basket Nba non producano una squadra decente di pallamano? «Non lo so» confessa desolato l’allenatore Garcia-Cuesta. Lo scrittore Kipling definiva Vittoria e Sconfitta «due impostori» e il tempio del tennis, Wimbledon, ne immortala i versi nello spogliatoio. A Rio perdersi tra i miraggi dorati dell’impostore Vittoria è facile, accettare la sua compagna di truffe, Sconfitta, troppo difficile per troppi narcisi vestiti d’azzurro.