Gentile Riotta,
la mia impressione è che gli umori negli Stati Uniti cambino più velocemente che in Italia. Mi rimane però una perplessità: come può l’America che votò Obama, primo presidente afroamericano, che prometteva di ridurre le armi ed estendere il diritto alla Sanità, infervorarsi per Trump? So che in Iowa Trump è stato battuto, di misura, ciò non toglie che il candidato repubblicano potrebbe alla fine risultare lui. Ricco, politicamente scorretto, gaffeur. Cosa attrae di Trump?
Matilde Ramo

Gentile Signora Ramo, è vero che l’America cambia in fretta: è la sua dote principale, confrontata con un’Europa che pur di non cambiare le prova sempre tutte. Al tempo di Reagan, 1980, 1984, e Bush padre, 1988, l’insulto con cui i repubblicani sconfiggevano i democratici era «liberal», progressista, etichetta che battè Carter, Mondale, Dukakis e Kerry.
Oggi uno dei due sfidanti democratici si definisce «socialista», il senatore Sanders, e sfida la favorita Hillary Clinton dandole della «liberal», ma non «progressive», «di sinistra», come lui.
Ricorda invece come i columnist descrivevano l’America di G. W. Bush? Un Far West texano di bulli armati fino ai denti, fanatici religiosi, crociati incivili, proni a Wall Street. Peccato che, a sorpresa, l’America para nazista elegge il mite Obama, figlio di una ragazza madre (come Clinton, quando capiterà in Italia, Francia, Gran Bretagna?), nero, subito decorato dal Nobel per la pace. In Europa è «Santo Subito», tranne poi essere scaricato quando si scopre che la Nsa spia gli alleati, o che il presidente minaccia - per un solo week end - raid contro Assad in Siria.
«L’America» non esiste, ci sono 320 milioni (330 con i clandestini) di abitanti: nelle Americhe dove convivono l’intelligenza artificiale di Google e Elon Musk, le nozze gay, le milizie di destra dell’Oregon, metropoli cosmopolite e villaggi rurali dove si nasce e muore nella stessa fattoria. Trump s’è affermato perché la tecnologia ha distrutto milioni di posti di lavoro per ceto medio e classe operaia, e chi teme di diventare povero - soprattutto i maschi bianchi spaventati dal futuro - cerca un leader chiassoso e senza peli sulla lingua.
Ho scritto per la rivista «The Atlantic» spiegando perché Trump non è «fascista», ma come Le Pen, Grillo, Podemos, Farage, Tsipras, raccoglie l’angoscia di chi non si sente protetto nel mercato di oggi (http://goo.gl/9TGmRP). Trump, assicurano i Big Data di Nate Silver, non vincerà, ma la sua base infelice resterà comunque in cerca di risposte rapide. Speriamo che qualcuno gliele offra, perché l’America non è mai una, ma sempre tantissime e dobbiamo tifare perché la migliore prevalga, visto che noi europei, di dare una mano a guidare il mondo, non ne vogliamo proprio sapere!


Gianni Riotta, editorialista de «La Stampa», insegna come Pirelli Chair a Princeton University ed è condirettore del Master Macom di Luiss, svolgendo ricerche su New Media e Big Data con la start up Catchy. Anchor di «Rai Storia», collabora con «The Atlantic» e «Foreign Policy» ed è membro permanente del Council on Foreign Relations. Ha diretto «Tg1» e «Sole 24 Ore».