Il mare era Favignana «approdo di Ulisse», la laguna di Marsala, con la strada sommersa verso Mozia, Manhattan dei Fenici, la spiaggia di Mondello con lo stabilimento Liberty o le rocce di Sferracavallo, dove il bisnonno era stato capostazione, e il nonno architetto disegnava il Castel Utveggio sul Monte Pellegrino, e guai per noi bambini a non ricordare Goethe «Il più bel promontorio al mondo». Al teatro greco di Siracusa si andava per le tragedie classiche (noi ragazzi sbadigliando) ma il Coro spiegava come la Giustizia eluda il Fato, e l’insegnamento resta utile da allora.  

Al Nord, dove vive la mia famiglia materna, estate era Lago Maggiore e il motoscafo dello zio Dino, veterinario a Lonate Pozzolo amante di virate assassine, mio cugino collaudatore di elicotteri, la barchetta di zio Giorgio ciondolante tra le anse del Ticino, la nobile villa di Oronco, con il cedro del Libano che aveva resistito agli orrori della guerra, quando zio Nachmann era braccato dalle SS. 

Estate era arrampicarsi tra i caprioli a Ortisei, immergersi alla boa a Isola delle Femmine, navigare sul peschereccio al largo del Canale di Sicilia, nasse di aragoste e sacchi di ricci, tra i tuffi kamikaze di mia madre in alto mare, riemergerà dalla spuma turchina? Con mamma ho fatto naufragio in barca tra ondate pazzesche, mi riportò in salvo nuotando come un’orsa con me fra le braccia, mai nella vita mi son sentito più al sicuro. 

L’estate era però il tempo delle storie, e che storie. Lo zio Massimo, ufficiale dell’artiglieria da campagna, detenuto dagli inglesi alle falde dell’Himalaya che fugge verso la Manciuria, viene ripreso a 6000 metri e il colonnello inglese gli concede di scalare in libertà, purché torni poi al campo. Lo zio Totino, pilota carrista, racconta delle cataste di morti italiani a Bardia. Lo zio Tino ci diceva del lager tedesco, dove gli ufficiali che non giurano con i fascisti sono deportati, e mangiano pane sporco di escrementi, ascoltano una radio a galena sotto il pagliericcio, muoiono folgorati per aver divorato zucchero il primo giorno di libertà.  

Mio padre, cronista alla Radio Alleata del Pwb, ricordava il suo barbiere, il giorno in cui Mussolini dichiara guerra all’America, nel 1941, l’unico a non gioire. Papà gli chiede perché, lui risponde sottovoce «Sono stato metalmeccanico a Pittsburgh: l’America forte è». Né Hitler né Mussolini avevano visto le acciaierie, il barbiere povero sì, miglior stratega di loro. Lo zio Tanino, sottufficiale sulla leggendaria nave della Marina Ramb II che beffa la Royal Navy inglese navigando dal Corno d’Africa a Tokyo, festeggiato come eroe nel 1940, poi prigioniero deportato nei dintorni di Nagasaki, dove 70 anni fa vede brillare da lontano il fungo atomico. 

Di quelle vacanze lontane mi manca il mare, svuotato di pesci e riempito di scorie, le montagne e le rive dei laghi, spogliate di edelweiss e occupate dai Suv, mi mancano le persone care. Mi mancano i racconti, quando i «grandi» passavano ai «piccoli» la storia, i valori, le sofferenze, il mito, la tolleranza, la trama di una famiglia, pagina del grande libro della Storia. Quel poco che so l’ho imparato allora.