L'impostazione della legge di stabilità 2015 del governo Renzi tenta di realizzare un difficile equilibrio tra l'austerità espressa dai trattati e la flessibilià necessaria al riavvio dell'economia interna.

La strategia di Renzi era chiara da tempo. Da un lato dimostrare l'affidabilità del governo avviando le riforme auspicate dall'Europa, in primo luogo quella del lavoro, e garantendo il rispetto del parametro del 3% deficit/pil. Dall'altro, forte di questa dimostrazione, ottenere che la Commissione Europea chiudesse un occhio sul mancato rispetto di quello 0,5% del PIL per per il raggiungimento dell' obiettivo di medio termine del pareggio di bilancio.

Non si trattava di un dettaglio di poco conto: lo scorso anno proprio su questo punto l'Italia era stata invitata ad apportare modfiche al suo progetto di bilancio, bocciato dall' allora vicepresidente della Commissione Ue Olli Rehn. 

La situazione si era poi risolta con l'adozione di alcune delle misure suggerite, ma le cose andarono per le lunghe, trascinandosi fino al 22 di novembre. Cosa che Renzi non poteva permettersi sta volta rischiando di rallentare il già accidentato percorso di approvazione della riforma del lavoro, al secolo Jobs Act.

La storia di questa legge di stabilità comincia a delinearsi quindi già a giugno. Renzi forte della legittimazione ottenuta con le elezioni europee lancia il semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'UE, e comincia a porre la questione della crescita al centro dei suoi discorsi sull'Europa.

Nei giorni precedenti l'inizio del semestre succede però qualcosa che facilita la partita italiana per la flessibilità. Lo sottolineano anche gli osservatori internazionali.

Il premier Cameron promuove una campagna anti Junker, candidato alla presidenza della Commissione Europea per il partito popolare. Per neutralizzarla Angela Merkel è costretta a chiedere il massimo supporto dagli altri leader, in particolare quello di di Renzi, uscito legittimato dalla elezioni europee rispetto alla cancelliera. 

Il PD fino a poco prima, per voce del sottosegretatio alla presidenza del Consiglio con delega agli affari europei Sandro Gozi aveva sostenuto il candidato del partito socialista Shulz. Con Merkel in questa nuova veste Renzi vede "una rara opportunità per iniziare una trattativa sulle politiche economiche europee da una posizione di relativa forza". Crea quindi una coalizione con Franca, Spagna e altri paesi oppositori dell'austerity tedesca e offre alla Merkel un compromesso: "una coalizione a favore di junker in cambio di un alleggerimento della politica rigorista imposta a Italia e Francia".

La trattativa con Merkel si era trasformata, secondo Keletsky "in una votazione formale simultanea a quella per junker, che impegnava l'UE alla flessibilità nell'interpretazione delle regole europee di bilancio, a un approccio al consolidamento fiscale "groth-friendly" e differenziato, e alla possibilità di un temporaneo scostamento degli obiettivi di bilancio concordati nel caso fossero state implementate importanti riforme strutturali."

Come affermerà poi esplicitamente Gozi il 4 luglio:“un cambio verso una politica economica più favorevole alla crescita era una condizione per il supporto italiano al prossimo presidente della Commissione".

Anche le dichiarazioni del Presidente uscente Barroso in visita in Italia consacrano la crescita come obiettivo della strategia europea, accogliendo favorevolmente le annunciate riforme italiane

La logica simbiotica dell'austerità espansiva diventa così la linea ufficiale del periodo di presidenza Italiana

Non è però la fine dele preoccupazioni strategiche per il Governo, perchè un passaggio del discorso di Barroso in conferenza stampa il 4 luglio a Roma lascia presagire che le tensioni tra rigoristi ed espansivisti torneranno a farsi sentire. Secondo il presidente uscente infatti nessun ministro ha chiesto la modifica delle regole dei trattati, che "vanno rispettate al 100%" e prevedono già una "flessibilità intrinseca". 

Gli attriti tornano però a manifestarsi quando a seguito della comunicazione da parte del governo francese di non voler rispettare il parametro del 3% (non di poco), Angela Merkel emette un richiamo generale: rientra nella responsabilità di ciascuno Stato fare i propri "compiti a casa".

Il premier italiano prende al contempo le difese di Hollande e le sue distanze

L'ostentata sicurezza di Renzi è attesa a una prima verifica fissata per Il 15 ottobre, data limite per la consenga del programma di bilancio alla Commissione Europea. Nel frattempo il governo accelera il percorso del ddl delega Jobs Act per giungere al meeting europeo sull'occupazione (8 ottobre) con l'approvazione da parte del Senato in tasca. Obiettivo: dimostrare che le riforme procedono davvero e confermare così la credibilità italiana.

La mossa riesce a metà, perchè per il malconento del Presidente del Consiglio la fiducia sul provvedimento viene attenuta solo all' 1 di notte, quando il summit è chiuso da qualche ora.

Incassato comunque il risutato, il segretario del PD sposta l'attenzione sulla questione economica: sta per iniziare la settimana della legge di stabilità.

I contenuti della legge vengono anticipati durante l'assemblea di Confindustria Bergamo

30 miliardi complessivi18 miliardi di tasse in meno, conferma del bonus di 80 euro, 500 milioni di detrazioni per le famiglie, incentivi all'assunzione a tempo indeterminato per i primi 3 anni. Bastano queste anticipazioni e le voci di una probabile bocciatura da parte dell'UE si rincorrono; tanto che il portavoce del neo Commissario Katainen emette un tweet in italiano:
E' però il parametro non rispettato dello 0,5% ad interessare Bruxelles: il piano italiano raggiunge infatti solo lo 0,1% del PIL per quanto riguarda il deficit struttuale. Dal Financial Times si apprende che la Commissione UE invierà una lettera a cinque paesi il cui piano di bilancio è a rischio di infrazione delle norme europee, Italia compresa.

"l'Italia ha pianificato una deviazione significativa dal percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine (Mto, medium-term budgetary objective) per il 2015", questo il passaggio principale della lettera. Come volevasi dimostrare. Ma "non sarà una discussione sui decimali e sulle virgole a fermarci", afferma il Presidente italiano; e a ragion veduta, visto che un margine di manovra era già previsto. Anche se la lettera non contiene richieste di modifica, bensì solo chiarimenti, il Governo fornisce entrambi, portando allo 0,3% del PIL il parametro discusso.

Lo stretto giro di scambi si conclude già il giorno seguente: quando da Katainen giunge il messaggio rassicurante:

Nessun bocciato dunque, nemmeno la Francia. Significa in altre parole che l'inotteperanza dei paesi c'è, ma non è, o non è più, significativa. Per alcuni è un evidente segnale di flessibilizzazione da parte della Commissione e una conquista per l'Italia. Un'occasione persa per mantenersi più espansivi, una vera e propria sconfitta per Francia e Spagna invece, secondo l'economista Fitoussi.

Si tratta più semplicemente di un compromesso che rappresenta un traguardo perseguito alla lontana da Renzi, ma che non permette di verificare pienamente la capacità di autodeterminazione espansiva da parte degli stati membri. Ossia: entro quali margini può essere contrattato lo scostamento dallo 0,5%?Stando come sono ora le cose, il Governo spera

che nei rapporti economici comunitari le preoccupazioni siano terminate, nonostante Katainen abbia raffreddato gli entusiasmi ricordando la possibilità che una procedura di infrazione venga avviata più avanti.

A questo punto della storia la scelta di ritoccare il programma di bilancio, rischiava però di avere conseguenze nella politica domestica.
Le correzioni apportate, oltre a contenere la riduzione delle tasse annunciata, costringono infatti il Governo ad aggiornare il Documento Economia e Finanza (DEF) che riporta il dettaglio fiscale delle misure indicate nella legge di stabilità.

La presidenza dei capi gruppo al Senato richiede che il DEF torni in aula perché il nuovo scostamento dal pareggio di bilancio venga votato a maggioranza qualificata. 

La votazione rappresenta però un pericolo. Due settimane prima infatti, sulla stessa votazione il Governo si era salvato solamente per un voto.

Nonostante le pressioni dell'opposizione, secondo il PD il voto non è necessario, perchè il nuovo scostamente dal pareggio di bilancio è migliorativo rispetto a quello già votato.

Una mossa dal suono ostruzionista quindi, che cade nel vuoto: il DEF passa nelle aule, stavolta senza difficoltà. 

Ma la vicenda prefigura le difficoltà a cui il disegno di legge va incontro alla Camera. Con la discussione del testo in Commissione Bilancio siamo solo all'inizio dell'iter parlamentare vero e proprio: il termine per presentare gli emendamenti è il 7 novembre, e un testo così ricco è un forziere di sorprese. Ma commissioni e Parlamento si prodigheranno in una sterile opera di rimescolamento, perché a fine novembre il Governo neutralizzerà le intercorse proposte secondo una prassi tristemente regolare in materia di bilancio.

Insomma, se per ottenere la fiducia dell' Europa il Governo non poteva dire di no alla trattativa, probabilmente per ottenere quella interna del parlamento Renzi farà invece tutto il contrario. 

Un comportamento che si profila plausibile anche in materia di lavoro. In seguito alla manifestazione promossa dalla Cgil contro JObs Act e legge di Stabilità, oceanica nella rappresentazione mediatica, renzi risponde teorizzando la fine della funzione di lobbying del sindacato.

Un canale parlamentare per il sindacato sussiste in quella parte della minoranza del PD che sabato scorso era in piazza e che ha già promesso modiche al testo uscito dal Senato.

Se gli emendamenti dovessero scontentare eccessivamente l'altra componente della maggioranza, il Nuovo Centro Destra, il ricorso alla fiducia si presenterebbe come plausibile alternativa per riaggiustare il compromesso già raggiunto al senato. Un' ipotesi che non procura significativi brividi al Governo, perché il fronte anti-renzi per ora non si compagina nemmeno attorno a una cena.

Un ammirabile paradosso si profila quindi all'orizzonte: stavolta saranno le irrisolte divisioni a sinistra a garantire la stabilità?