«Più imperscrutabile dei misteri sull’origine dell’universo». Così il geniale fisico Stephen Hawking aveva definito la popolarità di Donald Trump in un’intervista con Itv Good Morning Britain. Eppure, malgrado i media ostili, fondi per la campagna 135 milioni a 4 in favore di Clinton e l’astio di tanti leader repubblicani, secondo Five Thirty Eight, il sito di news, politica, sport e Big Data del guru Nate Silver, a quattro giorni dal voto Hillary Clinton ha il 66,2% di possibilità di vincere le elezioni, contro il 33,8% di Donald Trump. La percentuale di Trump è in crescita rispetto al mese di ottobre, in cui il candidato si era mantenuto stabile tra i 13 e i 14 punti percentuali.  

L’ex First Lady mantiene un discreto vantaggio, resta favorita, ma in tanti hanno sottovalutato le potenzialità del suo populista rivale, ex palazzinaro di New York. Con la sua oratoria provocatoria e decisa, Trump ha conquistato gli elettori maschi bianchi con basso reddito e istruzione, persuasi che i messicani «rubino soldi e lavoro». Lo storytelling repubblicano dà voce a chi, a differenza di Clinton, con la politica non ha mai avuto a che fare, si sente outsider. 

Gli Stati Uniti vivono una situazione critica, politica ed economica, Isis minaccia la sicurezza nazionale, per il vuoto lasciato da Obama e dall’establishment, urla Trump e in milioni ascoltano. La destra radicale detta «Alt Right», di attivisti digitali come Richard Spencer attivo su twitter come @richarbspencer, raccolgono il rancore, al limite del razzismo e dell’antisemitismo, di chi si sente impoverito dalla globalizzazione. Trump, con soldi, veri o presunti, miss Universo, ridendo delle accuse di molestie sessuali, si presenta da uomo d’affari forte, spregiudicato, in grado di risollevare le sorti del Paese prestando attenzione a ciò che il popolo desidera e che la politica nega. 

Hillary Clinton intona una narrativa opposta: forte del background da First Lady, senatrice e Segretario di Stato, si mostra competente, preparata per la Casa Bianca. Per la Clinton, Trump, ignorante di politica estera e indifferente a regole e istituzioni internazionali è dunque «il candidato più pericoloso della nostra storia».  

Come si afferma sui social network questa battaglia e che previsioni ci permette di fare per il voto di martedi 8 Novembre? 

Le opposte trincee non mutano direzione su Twitter. Tra gli hashtag più utilizzati da Hillary Clinton dunque #shewon, #imwithher e #strongertogether, per invitare gli elettori a scegliere l’usato sicuro contro il neofita Trump.  

#ohvotesearly è l’hashtag utilizzato dai cittadini dell’Ohio per invitare al voto e sostenere Hillary (OH sta per Ohio for Hillary). L’Ohio è un decisivo swing states, gli stati in altalena tra i due candidati, che assegnano alla fine le elezioni. Oltre a promuovere la campagna, Hillary attacca l’avversario, con l’hashtag #lovetrumpshate, «l’amore batte l’odio» gioco di parole tra il verbo to trump (battere alle carte, superare) e Donald Trump. 

Il team di Trump su Twitter si focalizza su hashtag duri, «machisti», con attacchi frontali nei confronti della candidata democratica. Sanno che la maggioranza degli elettori uomini e bianchi sta, on e offline, dalla loro parte.

I due slogan elettorali Make America Great Again (rifacciamo grande l’America) e Drain the swamp (bonifichiamo la palude della corruzione) rappresentano il messaggio di Trump: riportare il Paese all’antico splendore, ribaltare l’establishment. Uno storytelling che oggi si fa sempre più largo anche in Europa, dalla Brexit inglese, a Le Pen in Francia ad analoghi movimenti in Germania, Italia, Spagna e nell’est europeo.  

Il candidato repubblicano attacca Barack Obama per quella che definisce la fallimentare Obamacare (#obamacarefail), la riforma sanitaria «Patient Protection and Affordable Care Act» voluta dal Presidente degli Stati Uniti e approvata, tra molte controversie, e ricorsi perfino alla Corte Suprema. 

Attraverso una clusterizzazione, raccolta comparata, degli hashtag, abbiamo raggruppato le conversazioni su Twitter in quattro temi: dibattiti elettorali, campagne dei candidati, Hillary&Donald e temi rivali.

L’attenzione è calamitata, nel clima violento e polarizzato del 2016, dai candidati, le opposte personalità. Nei tre dibattiti Tv del 26 settembre9 e 19 ottobre, i candidati si sono affrontati a colpi di insulti, in una politica da Circo che ha acceso le peggiori anime dei social.

Tra i temi dominano #vote, #millennials, #trumppence16 e #wikileaks. Nell’incertezza, e nel tornare alla base di democratici e repubblicani, con la metà dei cittadini che diserta le urne è cruciale mobilitare la propria gente, indurla al voto. «Portate un cugino al seggio» scherza il presidente Obama, ma questa sfiducia colpisce ovunque in Occidente e mette in sofferenza le democrazie tradizionali.

#trumppence16 contiene un tema caldo per la campagna repubblicana: la scelta di Mike Pence, governatore dell’Indiana, come vicepresidente rappresenta un richiamo agli elettori più conservatori, titubanti davanti alla nomina del libertino Trump. La Casa Bianca si gioca infine sui #millennials, le generazioni più giovani che vengono invitate a registrarsi (obbligatorio per potere esercitare i diritti elettorali) e votare. Clinton promette ai Millennials abbassamento dei debiti scolastici e diminuzione dei costi universitari, cavallo di battaglia del senator socialista Bernie Sanders che tanto filo da torcere le diede alle primarie.

In gioco anche Wikileaks, l’organizzazione di Julian Assange che, a pochi giorni dal voto, ha diffuso le email personali scambiate tra Obama e John Podesta, collaboratore per lungo tempo di Bill Clinton e ora presidente della campagna elettorale di Clinton. Il cosiddetto Emailgate, ha, secondo la Clinton, come registi il Cremlino e Vladimir Putin. I russi negano, Trump si fa beffe della rivale e accusa Podesta di dichiarazioni anticattoliche e antievangeliche.

Aborto, commercio, armi, immigrazione, tasse, matrimonio gay: questi sono i temi analizzati che hanno portato gli utenti a incendiare Twitter. 

 

Violento il dibattito su fisco, budget, debito pubblico, investimenti. Trump propone una riforma che semplifichi la riscossione delle tasse e promette la riduzione dell’aliquota fiscale per le imprese, accusato da molti economisti tradizionali di indebitare così il paese. Clinton insiste sul ceto medio e promette di alzare le tasse a ricchi e grandi aziende, apportando maggiori controlli su banche e investimenti, criticata per non avere però un solido piano per il lavoro. 

Popolare l’associazione tra Trump e Tasse, dopo lo scoop del New York Times sulle detrazioni fiscali monstre di cui Trump pare aver beneficiato, seppur legalmente non pagando imposte per anni. Il magnate non ha reso pubblica la sua dichiarazione, come costume, e Clinton ha tuonato «I lavoratori clandestini pagano più tasse di te».

In sordina, rispetto al passato, l’aborto. Clinton difende la legislazione sull’interruzione di gravidanza, che negli Stati Uniti ha avuto origine con la storica sentenza della Corte Suprema Roe vs Wade del 1973. Trump è invece contrario alla legge, arrivando a dire all’emittente Msnbc: «Ci vorrebbe qualche forma di punizione per le donne che abortiscono, nel caso in cui l’aborto fosse dichiarato illegale negli Stati Uniti». Affermazione subito ritratta senza tuttavia cessare di suscitare polemiche che, unite all’indignazione per le accuse di molestie sessuali, confermano lo svantaggio nel voto femminile. 

Caldo anche il tema porto d’armi o libera vendita, con Clinton che vorrebbe aumentare le restrizioni sul possesso di armi da fuoco, protetto dal II emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, e Trump a opporsi, sostenuto in questo dalla potente lobby National Rigle Association.  

 

L’altra piattaforma termometro della popolarità dei candidati, la loro comunicazione e l’engagement generato è Facebook. 

Se per ogni candidato si considera l’insieme dei like delle pagine ufficiali, dei like, dei commenti e delle condivisioni ai post, si ottiene un indice di «popolarità» del candidato, giorno per giorno. Come emerge dal grafico, su Facebook Donald Trump è più popolare, o almeno più presente di Hillary Clinton. In certi casi, Italia 2013, India 2014, numerose citazioni sui sociali hanno avuto una correlazione con vantaggio alle urne.

La popolarità di Trump viene dal numero di condivisioni ottenute ai propri post Facebook, anche grazie ad astute spin doctor, ma se prendiamo in considerazione, invece, linearità nel tempo e non i volumi del grafico, appare come l’andamento sia più coerente. Per Clinton giornata positiva il 26 ottobre, giorno del suo compleanno. Trump domina Facebook il 27 ottobre 2016, quando l’eco delle molestie è calato, mentre i suoi fans parlavano di brogli democratici. Interessante è notare l’uso intensivo delle dirette da parte del repubblicano, video in real-time su Facebook, ottenendo commenti e like dagli utenti avvertiti da una notifica diretta. Proprio al 27 ottobre risalgono due dirette popolari postate da Trump: a Kinston (NC) e Springfield (OH). 

Donald Trump, tranne che sulla National security, difesa e antiterrorismo, è il candidato ad ottenere più commenti sui temi caldi della campagna: divide e attrae attenzione, vedi proposte sulle tasse. Hillary prevale su National security, perché, malgrado email e accuse dei repubblicani sulla strage di diplomatici e uomini di scorta americani a Bengasi, in Libia, viene considerata più esperta. 

Bassissimo infine il numero di citazioni nei commenti ai post di Donald Trump riferite al matrimonio gay, che risulta nullo per Hillary Clinton. Il tema non ha acceso la campagna elettorale e, di conseguenza, i social non lo affrontano. La peggiore campagna elettorale a memoria d’uomo, preda di demagogie e populismi, dove entrambi i candidati hanno mutate posizioni fiutando il vento del consenso, conferma infine i timori per il web come tribuna politica. Anziché luogo condiviso di discussione, arena dove false notizie, accuse reciproche, polemiche inquinano la democrazia. 

Elaborazioni dati e grafiche a cura di Catchy, realizzate in collaborazione con Alkemy Lab e DtoK Lab nell'ambito del progetto DEEP