Le elezioni presidenziali di ieri in Venezuela non sono l’ennesimo derby latino-americano tra un candidato di sinistra terzo-mondista, paladino dell’economia centralizzata, e un candidato liberista che punta invece su libero mercato e sviluppo. La sfida tra il caudillo Hugo Chavez, reduce da 14 anni di malgoverno a Caracas e il quarantenne Henrique Capriles è qualcosa di più e più radicale. E’ il referendum tra un regime autoritario e populista, che fa dei giacimenti di petrolio leva di corruzione in Venezuela e nel mondo, e il ritorno alla normalità democratica, una crescita sul modello brasiliano del presidente Lula, dove anche le classi povere possano beneficiare del boom energetico.

Chavez ha, come sempre, negato par condicio televisiva al rivale, controllando l’informazione, mentre le sue milizie armate intimidivano l’opposizione, ricorrendo perfino a trucchi meschini, come sbarrare il consolato di Miami per evitare che i 20.000 venezuelani là residenti potessero votare. Ma questa volta la macchina di mazzette, raccomandazioni e paura ha funzionato peggio che in passato. A sorpresa Capriles, giovane, dinamico, ha parlato con successo nei comizi in città, quartieri e villaggi rurali, la base di Chavez, ha usato i new media (con un milione e mezzo di followers su twitter) e i vecchi volantini, per diffondere un messaggio di pacificazione.

Senza replicare a provocazioni e insulti «chavisti», Capriles ha colto la diffusa voglia di «normalità», chiudere con la retorica violenta del regime, anti americana, roboante, minacciosa, e usare la ricchezza del petrolio a vantaggio dei cittadini.

I sondaggi sono divisi, chi dà avanti il 58enne Chavez, a lungo malato di cancro, chi il dinamico Capriles, con il 15% di indecisi e l’ombra dei brogli sui 17 milioni di elettori (dovrebbero votare all’80%). Una vittoria dell’opposizione non eliminerebbe subito la tensione. La costituzione «chavista» assegna 90 giorni di «transizione» tra risultati del voto e nuovo governo: Hugo Chavez ha annunciato che le milizie, squadre armate e pagate dal regime, «vigileranno». Molti di loro perderebbero lavoro e privilegi con la fine del «chavismo» e meditano colpi di mano. Con una popolazione di 29 milioni di cittadini, circolano in Venezuela 17 milioni di armi da fuoco illegali. E la paura ha radici profonde, nel 2004 tantissimi venezuelani firmarono una petizione contro Chavez, i loro nomi vennero pubblicizzati e gli impiegati statali furono licenziati per rappresaglia. Fra loro nessuno dice ora in ufficio di votare Capriles, tutti mentono davanti a spie e caporioni.

Chavez ha impoverito il Paese, che ha riserve naturali straordinarie, saccheggiando il settore energetico. Da anni le compagnie controllate dallo stato non innovano, cacciano manager e tecnici competenti sostituendoli con funzionari raccomandati dalla gerarchia. Negli stabilimenti manutenzione e controlli scadono pericolosamente, è di pochi giorni fa un ultimo incendio alla gigantesca Petròleos de Venezuela, che s’è tentato invano di controllare per mancanza di mezzi funzionanti. La compagnia, che potrebbe dominare il mercato portando il Venezuela sul podio dei Paesi esportatori, è lottizzata fra sostenitori, amici e parenti del clan Chavez, umiliata a macchina da soldi per corruzione e camarille. Da sola Petròleos de Venezuela ha versato ai «chavisti» in dieci anni 50 miliardi di euro, destinati a «programmi sociali», progetti inutili, come le «cattedrali nel deserto» italiane degli Anni Cinquanta, spesa pubblica che non crea sviluppo e occupazione. Se però Chavez decide che il pilota di Formula 1 Maldonado – che nelle prove disputate fin qui non sembra un nuovo Schumacher - deve gareggiare con sponsor Petròleos, ecco che il Venezuela non è più «povero» e trova i fondi necessari. Inutile dirlo, Maldonado è considerato vicino alla figlia del presidente.

In questo clima asfittico, nessuno prevedeva che Henrique Capriles potesse costringere Chavez a una «vera» elezione. I suoi sostenitori hanno parlato ai sostenitori del regime, i più poveri, i più indottrinati e indifferenti, fin nelle sperdute campagne, perché la delusione pesa e l’esempio del Brasile fa sognare. A ogni ritorsione s’è risposto con fantasia, mobilitazione. Bloccati dalla chiusura del consolato di Miami gli elettori in Florida non si sono persi d’animo, hanno noleggiato auto, bus, affollato gli aerei e sono andati a votare alla più vicina sede diplomatica aperta, New Orleans.

Ex sindaco ed ex governatore, Capriles propone con modestia «Soluzioni concrete ai problemi concreti»: nel Venezuela di oggi, e con il petrolio nel motore, potrebbe essere la ricetta perché ai Paesi del turbo-sviluppo Bric, Brasile, Russia, India e Cina si aggiunga ora, finalmente, anche una V. E la lenta ripresa del dopo crisi 2008 trovi a Caracas un alleato, dopo anni di sabotaggio chavista.