La Russia si sta mobilitando per  una guerra che ritiene scoppierà tra 5 o 6 anni. Non dico che lance-ranno una guerra per quel-la data, ma prevedono un conflitto e si preparano » Così il generale Ben Hodges, comandante delle Forze Armate Usa in Europa. Come lui sembrano pensarla anche il nuovo segretario alla Difesa Usa Ash Carter, limitandosi ora a un cauto «non sono sfavorevole ad armare l'Ucraina», e i falchi del Congresso statunitense, guidati dal veterano se-natore John McCain.

Sarebbe però sbagliato, mentre il negoziato a quattro Germania, Francia, Ucraina e Russia porta dalla Conferenza di Monaco alla promessa di una seconda Conferenza a Minsk, in Bielorussia, credere che la divisione sull'offensiva di Vladimirovich Putin in Ucraina orientale, opponga America ad Europa, come fossimo ritornati al 2003 di Bush figlio in Iraq.
Il presidente Obama, amletico come sempre, resta scettico sulle armi agli ucraini al contrario del suo mini¬stro, ma in Europa polacchi, baltici, inglesi condividono la filosofia di Hodges. E dietro le quinte differenti idee su come contrastare Putin oppongono il ministro degli Esteri Ue Mogherini al presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk. La Kanzlerin Angela Merkel, che secondo frettolose note diplomatiche guiderebbe l'ostilità europea al conflitto armato in Ucraina, ha invece nella sua gioventù sotto la dittatura sovietica ragioni sufficienti per esser preoccupata dalla spinta a Est del Cremlino. Ha imposto con mano ferma alla riottosa Confindustria tedesca le sanzioni alla Russia, e alla vigilia del negoziato di Monaco fa trapelare al Financial Times il suo pensiero con una frase poco circolata in Italia: «Credevo che Putin fosse interessato all'ordine, invece cerca il disordine».

Nuovi equilibri

La saggia Cancelliera espri¬me l'incertezza di un Occi¬dente, Usa ed Europa, che non sa pensare una strategia per il XXI secolo, e si sforza di perpetuare, invano, le stra¬tegie vincenti del XX. Putin, questo è il suo vantaggio tat¬tico, si muove aggressiva¬mente nel presente, rigetta gli equilibri del dopo Guerra Fredda e agisce con brillan¬tezza nel mondo complesso. La Russia svende il gas alla Cina per comprare tempo mentre raccoglie reparti sul confine asiatico, invita a Mo-sca il premier greco Tsipras per innervosire la Bce, con¬duce la guerra in Ucraina con le Spetsnaz, truppe regolari senza mostrine, come in Ge¬orgia e Transnistria, salvo poi sedere in negoziati vacui riarmandosi per il 2020 con sofisticata tecnologia elet¬tronica per la cyberguerra e tank T 80. Putin sa che la car¬ta petrolio s'è consumata, l'economia russa langue e dunque occupa il presente, pronto al peggio.
Noi non siamo pronti al peggio, lo temiamo, preferia¬mo ignorarlo, fingendo che il meglio resti a portata di ma¬no. La Merkel incontrerà il presidente Obama oggi a Washington e tra i due leader le difficoltà non derivano da diverse visioni, la pensano in pratica allo stesso modo, ma da un'identica inadeguatezza ad affrontare «il disordine» in un sistema economico e politi¬co che, come quello america¬no ed europeo, privilegia, ago¬gna, vive di «ordine». Obama ripeterà che, malgrado gli im-pegni presi con la Nato, solo quattro Paesi europei investo¬no il 2% del budget nella Dife¬sa, la Merkel gli spiegherà quanto l'opinione pubblica eu-ropea, dall'Italia alla Francia di Hollande che vuole assolu-tamente vendere navi militari a Putin, non riesce neppure a discutere di una guerra ai confini, con le eccezioni di in-glesi ed europei dell'Est. In-sieme proveranno una aspra mediazione, pur di prender tempo mentre la milizia filo-russa punta su Mariupol per aprire un corridoio di terra con la Crimea occupata che Mosca ora rifornisce solo via aerei e navi.

Nessun piano

I libri di storia delle nostre scuo¬le irridono i leader imbelli della Vecchia Europa, che alla prima conferenza di Monaco conse¬gnarono il continente a Hitler, ed elogiano la caparbia risolutezza di Churchill, dimenticando come quei leader democratici rispon¬dessero al proprio elettorato che ignorava il disordine delle ditta¬ture sperando nello status quo. Il XXI secolo riporta la guerra al-l'ordine del giorno. Si combatte in Ucraina, Isis brucia vivi i pri¬gionieri in Iraq, Boko Haram (ri¬cordate le studentesse nigeriane rapite che tanto commossero il web in una delle sue effimere campagne? Sono state tutte ven¬dute come schiave, «mogli», pro-stitute) occupa un territorio grande quanto Piemonte e Ligu¬ria, Turchia e Grecia si sfidano nei cieli del Mediterraneo. Me¬rkel e Obama insistono ragione¬volmente «Non c'è soluzione so¬lo militare» a queste crisi, e in ef¬fetti non c'è conferma al genera¬le Hodges. Ma aggiunge «Armi agli ucraini non è una strategia. Usa ed Europa devono darsene una presto... inutile preoccupar¬si di "provocazioni alla Russia", Putin andrà per la sua strada». Di questo dovrebbero meditare finalmente Obama e Merkel, di una comune strategia. Poi deci-dere se inviare armi sì o no (e quali, droni e tecnologia radar di difesa per esempio possono ser¬vire) e come scandire le sanzioni. Finché restiamo senza una stra-tegia il vantaggio è di Putin, aspettando il 2020.

Tratto dall'edizione cartacea de La Stampa del 9 febbraio 2015.