Il 20 e 21 settembre prossimi noi elettori italiani saremo chiamati a rispondere, con un Sì o un No, alla domanda arcana “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?”. Con parecchi mesi di polemiche alle spalle, malgrado il peso della pandemia, è possibile che ormai i lettori si siano fatti, nei due opposti sensi, una propria idea e che il rito del primo giorno di autunno confermi, con malinconia per qualcuno ed euforia per altri, le previsioni fin qui fatte. Secondo l’agenzia Ansa, in un dispaccio diffuso per errore con un sondaggio dell’autorevole Ipsos, i tagliatori di seggi sono avanti con il 75%, i difensori dello status quo, pur in rimonta, fermi al 25. Le ragioni del Si, atte a ridurre la turbolenta Camera dagli attuali 630 deputati a un secco 400 e il nobile Senato dagli storici 315 scranni ad austeri 200, prevarrebbero a mani basse, anche se, negli ultimi giorni, gli studi del professor D’Alimonte rilevati qui su Huffington Post segnalano un’ascesa, a sorpresa, dei No.

Non voglio affliggervi, né con gli slogan a favore delle due tesi, né rigovernando le raffinate disquisizioni dei costituzionalisti. La propaganda del Sì assicura che si risparmieranno 53 milioni alla Camera e 29 al Senato, l’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli li restringe, al netto delle tasse, a 37 e 27 milioni, in ogni caso nulla di che raddrizzare il nostro debito, pari al 159% del prodotto interno lordo. L’opposta barricata del No teme che, tolto un mattone vitale dalla diga della Costituzione, un’alluvione di disastri piova sul paese.

Quanto a collazionare i pareri legali, politici, storici dei grandi nomi, ci sarebbe giusto da perder testa e giudizio. Il direttore di Radio Capital Edoardo Buffoni, mio bravo collega in Luiss Master Giornalismo, elenca su twitter i Dioscuri del Sì, “Comunque la si pensi, esiste anche un fronte di gente sensata per il Sì al Referendum: Enrico Letta, Gianrico Carofiglio, Erri De Luca, Carlo Petrini, Michele Ainis, Tito Boeri, Valerio Onida...” e vediamo insieme un ex premier, un giallista, uno scrittore dalla fedina penale e dalla coscienza non immacolate, il caro patriarca di Slow Food, l’ex presidente dell’Inps e due grandi firme costituzionali chiamarci al Sì, oltre al segretario del Pd Zingaretti, con il suo partito, sia pure in postura “silenzio assenso”, di malavoglia la Lega, il carismatico parlamentare Giorgetti vota infatti No, Fratelli d’Italia in coda, con entusiasmo focoso ecco i 5 Stelle di Grillo e, con cautela, studiosi come Francesco Clementi .

Anche il No mobilita un campo altrettanto variegato, temibile Campo di Agramante a detta di una prima pagina Grand Guignol del Fatto: l’ex presidente UE e premier Prodi, l’irriducibile radicale Bonino, l’ex presidente della Camera Casini, conduttori tv di destra ed editorialisti della vecchia sinistra, un pugno di dissidenti Pd, 183 costituzionalisti illustri in un loro manifesto. Lo scrittore Roberto Saviano s’è battuto con vigore per il No, scontrandosi con durezza con il Pd.

Per sgombrare il terreno dalle eterne esagerazioni, il lettore ricordi che, vinca il Sì o il No, non saremo investiti da pellagra, dittatura e SturmTruppen a piazza del Quirinale, come paventarono, con propaganda enfatica, quattro anni or sono gli oppositori della riforma Renzi, poi bocciata. Che fare dunque? In milioni non si cureranno del quesito e resteranno a casa, a godersi la fine dell’estate. Per me, come immagino per tanti di voi, questa paciosa strada è preclusa dall’educazione ricevuta, se c’è un referendum costituzionale, un’elezione politica, un sindaco in ballo si vota, giusto?

Per votare dunque, ma con qualche cognizione di causa e vaccinandomi contro gli slogan faziosi, visto che gente in gamba milita su opposti fronti, ho studiato le carte, partendo dal saggio Stefano Folli di Repubblica e qui mi sono imbattuto quasi subito, come inevitabile direi, in un forbito saggio di Gustavo Zagrebelsky, che speravo mi illuminasse. Ho conosciuto bene Gustavo a Torino, quando scriveva per la Stampa, e ne ammiro la cultura formidabile, la scienza giuridica, l’etica giansenista e la prosa illuminista. Zagrebelsky dunque, con felicissima trovata retorica da editorialista di rango, usa la figura dell’Asino di Buridano, incerto tra Sì e No. L’Asino di Buridano, il lettore lo rammenterà, è favoletta filosofica attribuita -in modo apocrifo, come vedremo poi- al logico francese Jean Buridan, italianizzato in Giovanni Buridano. Il grande Karl Popper sintetizza così l’apologo che insuffla i dubbi di Zagrebelsky: “Un asino affamato e assetato è accovacciato esattamente tra due mucchi di fieno con, vicino a ognuno, un secchio d’acqua, ma non c’è niente che lo determini ad andare da una parte piuttosto che dall’altra. Perciò, resta fermo e muore”. “Pensandoci e ripensandoci -confessa Zagrebelsky- mi sento un asino, ma non un asino qualunque: l’asino che occupa un posto di rilievo nelle dotte discussioni medievali sul libero arbitrio: l’asino di Buridano. Quell’asino, che sono io, si trova davanti a due sacchi di fieno e due secchi d’acqua fresca, perfettamente uguali e a identica distanza da lui. Su uno c’è un bel SÌ e sull’altro un bel NO. Come decidersi per l’uno o per l’altro?” e se questa incertezza tormenta perfino il costituzionalista di classe, figuriamoci noi cittadini comuni!

L’asino di Zagrebelsky è tentato dapprima dal Sì, perché riduce i parlamentari; poi dal No, odorando puzza di “virus antiparlamentare”; quindi in lui “Prende corpo l’idea di diminuire i numeri degli oziosi, valorizzando gli operosi” tra i parlamentari” e la fragranza del Sì lo ristuzzica; del resto “Il deputato che percorre in carrozza le strade polverose del suo collegio per incontrare la sua gente è l’immagine romantica d’un passato perduto…Le ragioni del No in nome del sacro principio della rappresentanza non sono allora così evidenti e avanzano di nuovo quelle del Sì”. Che fare? Il leggendario titolo del romanzo russo di Černyševskij, composto nel 1863 nel cupo carcere di San Pietro e Paolo a Mosca e poi preso in prestito per il pamphlet rivoluzionario da Lenin, incalza l’elettore 2020 e davanti al “Che fare?” tra Sì e No Zagrebelsky si schermisce con grazia sottile, che lascia intendere solo di sguincio la sua convinzione reale, che, certo, non deve, né può, esser meno radicata e appassionata di quella su cui fece battaglia politica radicale di prima linea nel 2016 contro Renzi, visto che, come allora, la Costituzione è di nuovo in ballo.

La sua conclusione, che non inimica all’autore, almeno in apparenza, alcun campo, merita di essere riletta con acribia: “Insomma, alla fine questo asino al quale ho imprestato la mia asinità, a forza di girare di qua e di là è sconcertato, non sa dove rivolgersi e, forse, concluderà perfino di non avere né fame né sete e, così, preferirà voltarsi e andarsene altrove, mettendo fine al rovello al quale lo si è voluto sottoporre per saggiare in che consista il suo libero arbitrio. Ultima considerazione: alla fine si deciderà per ragioni che hanno poco a che fare con quelle propriamente costituzionali: fare un favore a questo o un dispetto a quello; rafforzare un partito rispetto ad altri; consolidare la maggioranza o indebolirla; mettere in difficoltà una dirigenza di partito per indurla a cambiare rotta e, magari, a cambiare governo o formula di governo. Ma, allora, quell’asino, per quanto asino sia, avrà un’ulteriore ragione per starsene costituzionalmente sulle sue”.

Cosa suggerisce a noi elettori qualunque il giurista celebre? Dapprima quasi un’astensione, “forse, [l’asino] concluderà perfino di non avere né fame né sete e, così, preferirà voltarsi e andarsene altrove”, ma suonerebbe blasfemo in chi ha come vocazione sacra considerare questione dirimente ogni vulnus, piccolo o grande, alla Carta fondativa del paese. Allora riesaminiamo la chiusa, dal tono più corrivo dell’usuale nell’illustre giureconsulto, “alla fine si deciderà per ragioni che hanno poco a che fare con quelle propriamente costituzionali: fare un favore a questo o un dispetto a quello”. Qui Zagrebelsky coglie nel segno, tanti elettori voteranno per la battaglia politica viva in corso, cercando il segnale offerto dalla vittoria di uno dei due opposti campi. Rafforzerà il premier Conte, Beppe Grillo, Zingaretti segretario o la dignità del parlamento, una legge elettorale finalmente seria, il dialogo non fazioso tra le parti? Sfoltirà i politici fannulloni o lascerà vaste aree di popolazione senza rappresentanza, violando l’antico codice “No taxation without representation”?

Per chiarirci le idee possiamo qui rivolgerci a un altro studioso, non meno autorevole, il professor Michele Ainis, e per trasparenza, dichiaro che di Michele mi ritengo amico, dopo anni di collaborazione nei giornali. Ainis  sembra dissentire dall’affranto paragrafo finale di Zagrebelsky concludendo a sua volta che “…in generale le riforme prescindono dai loro padrini. Specie in materia costituzionale. La libertà delle scuole private, per fare un altro esempio. Chiesta dalla Dc in Assemblea costituente, concessa a denti stretti da Togliatti; ma adesso chi se ne rammenta? Morale della favola: conta il testo, non il contesto”. Quindi, ammonisce Ainis, schierato per il Sì, inutile usare il frusto argomento “cui prodest?”, a chi giova, Sì e No possono avere alle spalle questo o quel “Padrino” (come me, Michele è siciliano…) ma nessuno deve farci troppo caso, alla lunga i “padrini” si dimenticano e restano gli effetti concreti.

Ma davvero “conta il testo, non il contesto”?, vale a dire l’eco politica del risultato pesa meno del cambiamento concreto indotto? L’esperienza passata contraddicequesta ipotesi. Il referendum sul divorzio 1974 non solo affermò un “testo”, la legge Baslini-Fortuna che confermò, ma soprattutto rivelò il “contesto” della nuova Italia, meno abbarbicata al dopoguerra e pronta a vivere una nuova stagione civile in Europa. I referendum di Mario Segni, dopo la fine della Guerra Fredda nei primi anni ’90, ebbero un ferreo “testo” con i tagli alla partitocrazia occhiuta, ma il loro “contesto” risuona ancor oggi, avendo dischiuso la stagione che vide avversarsi Berlusconi e Prodi per poi arrivare ai governi di Letta, Renzi, Gentiloni, l’avvento di Beppe Grillo e i due governi, centauri rovesciati, Lega, 5 Stelle, Pd, di Giuseppe Conte.

Allora riflettiamo con ordine: 1) Un campione della Costituzione come Gustavo Zagrebelsky ci indica l’incertezza tra Sì e No, invocando l’Asino impotente di Buridano; 2) Dissentendo per una volta, e ce ne perdonerà, da Michele Ainis credo che il “contesto” pesi più del “testo” in politica e del resto studiosi del linguaggio, Saussure, Chomsky, il secondo Wittgenstein, suggeriscono che il testo è sempre contesto e viceversa. Se queste premesse son valide, nei primi giorni d’autunno 2020 peserà su di noi il “contesto” politico, ben oltre il risultato. E, a stare ai sondaggi, incluso quello rivelato per svista dall’Ansa, gli italiani intendo tagliare di brutto il Parlamento, pur in assenza di una legge elettorale congrua per eleggere la prossima legislatura, con Camera e Senato formato bonsai. In parallelo, sempre a stare all’Ansa, cresce il consenso per il premier Conte, apprezzato dall’opinione pubblica per l’aplomb col quale si schermisce, senza mai schierarsi a fondo, ma senza dunque mai pagar pegno nei giudizi popolari. I suoi critici lo giudicano evanescente, sottovalutando l’era digitale in cui viviamo, capace di amare le identità soft quanto le hard.

E, di fatto, con felice tempismo da esperto uomo di scena, interviene a proposito il fondatore dei 5 Stelle Beppe Grillo con un post su Facebook che detta la linea per il Sì: “Tra due settimane il popolo italiano potrà riappropriarsi del proprio potere ricacciando nella foresta i dinosauri del Giurassico, destinati alla estinzione dalla cometa della riforma costituzionale. E’ ora di svecchiamento, modernizzazione e di maggiore consapevolezza sociale!”. La strategia è dettata dall’ambasciatore Torquato Cardilli, veterano delle nostre ambasciate in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola, convertitosi secondo fonti stampa all’Islam: secondo Cardilli il No sarebbe difeso da “i vecchi dinosauri della reazione che escono dalla foresta in cui erano rintanati da decenni, o se volete le cariatidi dell’immobilismo della politica italiana, tutti intenti alla conservazione, alla difesa di privilegi anacronistici, all’opposizione preconcetta contro qualsiasi cosa che odori di svecchiamento, di modernizzazione, di maggiore consapevolezza sociale. Da loro le giovani generazioni non possono aspettarsi nulla di buono, ma solo il gravame insopportabile dell’eredità di una montagna di debiti che pesa già sulle loro esili spalle e su quelle degli adolescenti di domani che debbono ancora nascere”.

Insomma è battaglia del Nuovo, il Sì, contro il Vecchio, il No, Homo Sapiens contro T Rex, pur mai incrociatisi se non al cinema. Sarebbe ingeneroso obiettare che i campioni del Sì Grillo e Cardilli hanno rispettivamente 72 e 77 anni e le foto ce li mostrano a usare con generosità un po’ di tinta, biondo cenere per l’ex attore, marron scuro alla leader cinese per l’ambasciatore, a celare la canizie. Passi il desiderio degli anziani di parlare da giovani, i temi di Grillo-Cardilli sono quelli di Zagrebelsky per il Sì, tradotti in gergo populista: “Infine i dinosauri protestano per il fatto che un numero ridotto di parlamentari costituirebbe una minore rappresentatività popolare e un minore contatto con il collegio di elezione. Argomentazione speciosa perché già ora i partiti candidano i loro favoriti in collegi sicuri anche se del tutto sconosciuti e distanti migliaia di kilometri dal luogo di residenza e perché non viviamo più in un mondo agricolo-pastorale con un 20% della popolazione analfabeta che richiedeva un contatto ravvicinato tra eletto ed elettore per l’assenza di mezzi di comunicazione di massa, di televisione e di tutti gli strumenti social…” con perentoria chiusa “Tra due settimane, in coincidenza con la presa di Roma, il popolo italiano potrà riappropriarsi del proprio potere ricacciando nella foresta i dinosauri del Giurassico (i vari Casini, Giachetti, Bertinotti, Prodi, Parisi, Cirino Pomicino, Sisto, Napoli, Brunetta, Violante, Formigoni, Bonino, Zanda, Finocchiaro, Santanché, Orfini, Sgarbi, Rotondi, ecc.), destinati alla estinzione dalla cometa della riforma costituzionale”.

Se dunque ce l’avete ancora con quel poco che resta della vecchia Kasta, se la velocità con cui i 5 stelle hanno imparato il gioco delle nomine lottizzate non vi stucca, se vi fa piacere veder ridotta nei ranghi quella che Benito Mussolini considerava “un’aula sorda e grigia” da rovinare in “bivacco di manipoli”, se non vi preoccupa che la nuova legge elettorale sia appesa a promesse di leader politici inaffidabili come i marinai con le morose nei porti, inducete l’Asino di Zagrebelsky ad affondare con gusto il muso nel covone di fieno del Sì.

Qualora invece, come i direttori di Stampa, Repubblica, Huffington Post, foste affranti all’idea di avere un Parlamento Extra Small ma senza legge elettorale per il prossimo voto -non sono costituzionalista, ma son certo che Calamandrei, Terracini, De Gasperi, Mortati per non dire del compianto Vanni Sartori avrebbero reagito con ribrezzo a questa ipotesi- allora fate ragliare l’Asino in direzione opposta e, con ribalda caparbietà, votate No.

Mi scuso per la lunghezza di questo papiro-pizza, ma non sono in gioco pochi spiccioli di mancia a qualche parlamentare, di quelli che magari, quando li ascoltate alla benemerita Radio Radicale, annaspano in sintassi, logica e buon senso e quindi, andassero a casa, poco importerebbe. Qui si tratta della Costituzione della Repubblica Italiana, per cui i nostri avi hanno combattuto e sofferto, cadendo a legioni. Se passa l’abitudine vezzosa di cambiarla a colpi di “caffè sospeso” in stile Napoli, intanto ci beviamo il taglio degli odiosi gradassi parlamentari, poi, domani, con calma e gesso, quando capita, berremo anche il “Sospeso” della nuova legge elettorale, il degrado crescerà, non diminuirà. Condividendo con voi queste note, arruffate mi spiace ma così sono i tempi, mi cresceva dentro però un disagio, un’incertezza viva. C’era qualcosa nell’apologo magistralmente rappresentato da Zagrebelsky che mi lasciava perplesso, ma non capivo dapprima cosa fosse, finché la mia lontana stagione giovanile da logico formale non ha scosso la grigia mediocrità presente. Se qualcuno di voi è ancora con me, provo a dirvi. Secondo Zagrebelsky l’asino di Buridano, incerto tra due covoni di biada e secchi d’acqua perfettamente equivalenti, sospeso come il caffè sul da farsi, crepa di fame e sete. E, narrata così, la favoletta corrobora la sua tesi politica implicita, questo non è il 2016 di Renzi ragazzi, votate come preferite, tanto poi vince il Sì.

Solo che quel maledetto Asino è assai più sofisticato di come lo ritraggono, e la sua storia, riemersa dai miei libri di logica, assai più feconda di echi politici. L’Asino di Buridano, infatti, non solo non è di Buridano, ma non è per nulla “asino” e dà, da secoli, filo da torcere, ai grandi pensatori, altro che noi viandanti 2020 del referendum. Aristotele già lo anticipava, Dante lo cita, il saggio persiano al-Ghazalilo narra come una scelta tra datteri, che altro se no?, gli informatici moderni si rompono la testa per i guai che crea loro nella programmazione vedi i saggi “Synchronization and Arbitration in Digital Systems” di David J. Kinniment e Derrick Niederman The Puzzler’s Dilemma ISBN 978-1101560877. A ben guardare dunque, davanti al voto prossimo l’insegnamento dell’Asino non ci conduce affatto ad indifferenza, ignavia, “Sì o No purché Magna”. Anzi, i neuroscienziati assicurano che, dalla scelta di due merende alla politica noi decidiamo in modo diverso. Per nostalgia lascio la ricostruzione del “vero” Asino di Buridano a un grande logico italiano, da poco scomparso e che ci manca, Giulio Giorello, dal saggio “Libertà”, Bollati Boringhieri 2015 : “È invece bizzarro che nei dibattiti sulla libertà «la presenza di scelte sofferte nella storia personale dell’agente non svolga alcun ruolo manifesto» e ci si riduca così a quella che tradizionalmente si chiama libertà d’indifferenza. Già nota a Dante (Paradiso IV, 1-3):

Intra due cibi, distanti e moventi

d’un modo, prima si morria di fame,

che liber’omo l’un recasse ai denti.

Insomma, un uomo libero non saprebbe quale assaggiare tra due cibi egualmente distanti e appetitosi («moventi»). L’analogo più tipico è l’asino di Buridano, o asina nell’Ethica di Spinoza. Si tratta di una bestia particolarmente affamata, che si trova tra due balle di fieno precisamente identiche e poste a uguale distanza da essa. Sottomesso al rigido determinismo di due forze di attrazione uguali e agenti in senso opposto, il povero animale non può che restare immobile...ad aspettare la morte per inedia. Questa dovrebbe costituire un’obiezione letale per il determinista coerente. Ma è davvero così? Dante parlava di uomo libero, e faceva sospettare che fosse l’assenza di causalità a rendere paradossale l’intera situazione. Comunque sia, vale la pena di leggere il commento di Spinoza (Ethica, Parte II):

Se l’uomo non opera mediante la libertà della sua volontà [ex libertate voluntatis], che cosa dunque accadrà nel caso che egli sia in equilibrio, come l’asina di Buridano? Perirà forse di fame e di sete? Se io lo concedessi, sembrerei concepire [...] la statua di un uomo, non già un uomo; se invece lo negassi, vorrebbe dire allora che egli determinerà se stesso, e quindi che ha la facoltà di andare dove vuole e di fare tutto ciò che vuole.


In realtà, l’asina non sembra avere molto a che fare con Giovanni Buridano di Béthune, seguace di Occam e professore dello Studio di Parigi, morto dopo il 1350, nel senso che quell’esempio non si ritrova in alcuno dei suoi scritti, anche se si suppone che avrebbe potuto rientrare nel suo insegnamento orale. Spinoza, in ogni caso, non pare turbato dall’indecisione dell’animale, asina o uomo che sia. «Dichiaro di concedere pienamente che un uomo, posto in un tale equilibrio (cioè che non percepisce altro se non la sete e la fame, il tale cibo e la tale bevanda, ugualmente distanti da lui), perirà di fame e di sete». E conclude: «Se mi si domanda se un tale uomo si debba stimare piuttosto un asino che un uomo, rispondo di non saperlo». L’ironia è appropriata: il carattere idealizzato di tale situazione mostra come la libertà d’indifferenza di cui godrebbe quell’animale sia una falsa libertà (o comunque un tipo di libertà che non desidereremmo avere), per almeno due motivi: 1) è stupida (nel caso limite, letale); 2) è anaffettiva, cioè le mancano le emozioni - quelle che nella Parte III dell’ Ethica Spinoza chiama affetti. Chi non ha emozioni è pressoché condannato, come ha sostenuto Spinoza e ha ribadito Damasio”.

Capito? Giorello conferma quel che ricordavo, Buridano nulla c’entra con l’asino e gli irridenti contemporanei che glielo attribuirono, ispirati dal problema del De caelo (Aristotele, De caelo, II, 295 b 31-34) cui ho accennato, non ne coglievano il paradosso, che Spinoza confuta con la sua eterna serenità. Nessun asino morirebbe di fame tra due covoni di fieno e nessun uomo, neppure in un dilemma teorico, si asterrebbe al voto. Perché la ragione, le emozioni, gli affetti, quello che prima definivo il “contesto”, lo smuoverebbero, d’istinto e di riflessione, contro la morte per inedia o il perdere protagonismo politico. Il persiano al-Ghazali concorda, nessuno morirà incerto tra due datteri, “Di certo ne sceglierà uno, grazie a una sua virtù, vale a dire la capacità di distinguere tra due cose diverse”, come appunto noi tra Sì e No. Che dono meraviglioso, “la capacità di scegliere tra cose diverse”: ecco perché ce lo negano!

Rivisto alla luce di Giorello e Spinoza l’apologo di Zagrebelsky si dissolve d’incanto e ciascuno di noi riprende, libero, la sua scelta determinante. Non siamo asini schiavi, neppure il povero Asino, o asina per Baruch Spinoza, lo era. Sono un vecchio cronista, so che questo pezzo non sposterà un solo voto, ma questa non era, lo ammetto, la mia intenzione. Spero piuttosto che abbia, anche solo di un mezzo pollice, spostato la logica delle vostre riflessioni nella direzione della verità e dei fatti, liberandovi dei tormenti asinini. L’ultimo giorno d’estate io voterò No, per ridurre la grinta di chi disprezza la dignità del Parlamento, della politica e della Repubblica. Mi dicono che perderemo, chapeau, non sarà per me la prima volta. Ma, oltre ai miei asini, conosco i miei polli e so che Zingaretti, Salvini, Meloni, Grillo, Di Maio, Casaleggio, Renzi, Calenda, Casalino il presidente Conte stesso, peseranno uno per uno i No. Fossero tanti, la legge elettorale arriverebbe prima e sarebbe meno populista, se invece il Sì stravincerà come giurano, la legge sarà rinviata e infarcita di antipolitica.

Annunciando il suo Sì alla festa dell’Unità il commissario europeo, ed ex premier, Paolo Gentiloni ha preso atto, con humor romano, del silenzio amareggiato dei militanti presenti, che non lo hanno applaudito: “Neppure io mi applaudirei” ha ammesso a denti stretti. Come il presidente Gentiloni, anch’io non mi applaudo per il No, apprezzando molte ragioni del Sì: preferisco però vivere da uomo che crepare da asino, me lo ha insegnato Buridano, quello vero eh?