Quanto tempo ci vorrà perché nomi che oggi ci risuonano cari, Ascoli, Casati, D’Agostino, Gaveglio, Leslie, Muset, nomi italiani, familiari in qualunque appello a Cuneo, Milano, Voghera, Catania, nomi col colore delle nostre regioni, Rossi, Tondat, Solesin, D’Allestro, nomi del «bel paese là dove ’l sì suona», vengano dimenticati? Promettiamo a Valeria Solesin, a Claudia D’Antona, agli anziani coniugi Casati «non vi dimenticheremo mai!», ma è fragile voce di noi umani, orgoglio di concittadini che, davanti al sangue fraterno sparso innocente da terroristi crudeli, prova a giurare memoria perenne. Non sarà così. Guardate nella vostra città i marmi slavati del Risorgimento, Nord e Sud, comunità che i demagoghi irridono e la Storia unisce, Riso, Tüköry, Sciesa, Fonseca Pimentel, o la Resistenza, Labò, Rattoppatore, Perotti, Jervis, o infine le vittime del terrorismo, China, Brasili, Ramelli, Leonardi, Sekiguchi, Martinez, o la mafia con Spampinato, Siani, Mancuso. Ricordate dove e come caddero?  

 

No. Dimenticare ci serve a sopravvivere. Alle Porte Scee Ettore, eroe senza la superbia di Achille o la vanità di Odisseo, si immola per lasciar di sé «buona memoria», farà il proprio dovere, con la malinconica leggerezza con cui lanciamo tra le onde un messaggio celato in una bottiglia, «a coloro che verranno», come auspicava Brecht. Ma, direte, questi sono eroi di battaglie lontane, mentre ora piangiamo civili, anziani spensierati a Nizza, «nel cuore abbiamo sempre sedici anni» rideva mio padre, uno studente di Berkeley italo americano - non era forse un italoamericano il leader del «Free Speech Movement», Mario Savio, Berkeley 1964, libertà di parola? -, la gentile Valeria Solesin, Claudia D’Antona, che ci è nota per la foto curiosamente malinconica, pur nel giorno delle nozze, massacrata dai jihadisti mentre il marito ne ascolta le grida, nascosto.  

 

E con loro, a Dacca, Cristian Rossi, 47 anni (quanti italiani si chiamano Cristian, quanti Rossi?), che si lascia dietro due gemelline di tre anni, Marco Tondat, con la piccola Eleonora. Ripetiamo i nomi dei caduti di Nizza, Gaveglio, Leslie, Ascoli, Casati, Muset, D’Agostino, vicini di casa, di ombrellone, di banco, di seggio elettorale, di lavoro e caffè, uccisi in una città che fu italiana, culla di Garibaldi, «una giornata al mare», Francia dove «i francesi - non - s’incazzano…». Erano lì per caso, per caso son morti insieme, come i cinque viandanti del romanzo «Il ponte di San Luis Rey» di Wilder: costruito in tempi immemorabili dagli Incas, il ponte si spezza nel 1714, sterminando cinque vite, tra le migliaia che l’avevano attraversato nei secoli. Un testimone, fra’ Ginepro, cerca di scrutare i disegni della Provvidenza nella strage, scoprendo invece, pian piano, che ciascuna delle vite perdute era legata, perché nessuno uomo ci è mai davvero estraneo. Noi leghiamo i volti di queste pagine con l’amore, quel poco che siamo capaci di trovare nei nostri cuori tra i fastidi, i doveri, i pesi di questa tragica estate. I nostri nemici li legano con l’odio. Per noi sono care figure, serene, per loro crociati da abbattere, come nel 1571 alla Battaglia di Lepanto, Cristiani contro Turchi. 

 

Nel 2004 caddero in Iraq Enzo Baldoni, traduttore dei fumetti «Doonesbury», ultimo post l’irridente «c’è f… a Baghdad?», e Fabrizio Quattrocchi, ex militare, medaglia d’oro alla memoria, uccisi da terroristi che li considerarono entrambi cani infedeli. In Italia Baldoni e Quattrocchi avrebbero discusso al bar, in treno, su Facebook, dove hanno ancor oggi detrattori e sostenitori. Sul campo, in Iraq, li rese fratelli l’odio di un nemico per cui chiunque, cristiano, ebreo, musulmano, progressista, conservatore, uomo, donna, gay, etero, tifoso, vegano, occidentale, asiatico, va sacrificato al jihad se non vi si piega all’intolleranza. 

 

Questa guerra dura da anni e anni durerà. Va vinta senza perdere ragione, tolleranza, democrazia, fede, senza illudersi che odio, razzismo, rancore siano armi utili. Dobbiamo attraversare una stagione dura, con razionale coraggio, senza dividerci in camarille ciniche, con la peggiore maschera italiana, il cialtrone «purché se magna…». Illudersi che tutto tornerà presto «normale», implica che i morti di Nizza, Dacca, Parigi, e quelli che presto li seguiranno, son morti invano. Tocca a noi decidere se lo vogliamo, o no, tocca a noi capire «perché» sono morti. Chi li ha uccisi, non lo ha fatto a caso. Come sul ponte di San Luis Rey il loro destino ha un significato e tocca a noi comprenderlo.