Con i sì del falco senatore McCain, dello Speaker della Camera Boehner e dell’House Majority leader Eric Cantor, repubblicani, e di Nancy Pelosi, leader dei deputati democratici, il presidente Barack Obama fa un passo, importante anche se non decisivo, per uscire dalla trappola siriana. L’ok del Congresso al raid punitivo contro Assad per l’uso dei gas appare, se non scontato, meno appeso agli umori partigiani di destra e sinistra. Comunque vada, si conferma una nuova stagione globale: rischiamo di vivere in un mondo senza arbitro, senza poliziotto di quartiere, nessuna superpotenza si farà più garante dello status quo, la Pax Americana, per quanto precaria, tramonta. Durante la Guerra Fredda Washington e Mosca governavano le loro sfere di influenza, con i Paesi non allineati dalla Conferenza di Bandung dal 1955 in poi a cercare spazio. Gli Stati Uniti provavano a contenere l’Urss, sostenendo Berlino durante il blocco russo e accettando l’invasione della Ce coslovacchia, come il Pcus non reagiva ai golpe filoamericani in America Latina. Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, il presidente Bush padre progetta quello che definisce un Nuovo Ordine Mondiale, democrazia anche a Mosca, garanzia Onu, gli Stati Uniti potenza benefica ad assicurare mercato globale, commerci, libertà. Quando Saddam invade il Kuwait, la coalizione funziona, l’Onu di Perez de Cuellar dà il via libera, europei e arabi si uniscono all’operazione, il Kuwait è liberato. Sembra una nuova strada, ma dura poco. A Mosca la stagione di Gorbaciov e Eltsin cede il Cremlino al nuovo panslavismo di Putin, ostile all’America e alla democrazia. Negli Usa il Nuovo Ordine Mondiale è osteggiato a sinistra dal movimento No Global, che da Seattle 1999 vede nella globalizzazione il nemico, a destra dagli estremisti isolazionisti. Nel 1995, quando il terrorista razzista Tim McVeigh fa saltare a Oklahoma City il Federal Building, la motivazione è il suo odio per il New World Order. Clinton guiderà il mondo contro Milosevic nei Balcani, fermando i pogrom in Kosovo e la guerra ma poi il multilateralismo si insabbia, un mondo senza ordine. L’attacco alle Torri Gemelle manda gli Usa in guerra a Kabul e Baghdad, ma dieci anni dopo - come dice il segretario Kerry - «l’America è stanca di guerra» come la ragazza Teresa Batista del romanzo di Jorge Amado. Il deputato populista di destra Ron Paul dice: «No alla guerra in Siria, che ce ne importa, non abbiamo i soldi, non dobbiamo perdere soldati, se la vedano tra di loro». Il dilemma di oggi è: avremo un mondo senza arbitro, senza superpotenza? Quando la Cina sembra agire con troppa foga nell’Oceano Pacifico, quando vara una flotta verso l’Oceano Indiano e una portaerei, Paesi amici come l’Australia, o ex nemici come il Vietnam, guardano subito agli Stati Uniti come freno. Gli australiani chiedono e ottengono un contingente di marines, il Vietnam condivide esercitazioni con gli americani che ha sconfitto nel 1975, «contro gli Usa abbiamo combattuto 20 anni, contro la Cina 2000». La posta in gioco oggi è questa divisa di arbitro, di agente del quartiere Mondo: hanno ancora gli Stati Uniti i soldi, le forze armate, il consenso, gli ideali e la visione per fungere da leader nel XXI secolo? Studiosi come Kishore Mahbubani parlano di «secolo asiatico», ma con la Cina ripiegata su una difficile transizione politica e l’India che rallenta la corsa economica, mentre la rupia perde valore, dall’Asia non si annunciano leader. La Russia è chiusa nel cerchio petrolifero e di astio per i diritti umani, dai gay alle Pussy Riot, di Putin. L’Europa, alle prese con una crisi economica e dell’euro che solo da poco dà qualche respiro, non sembra avere una prospettiva comune, Germania, Francia, Gran Bretagna, Polonia e Italia divise da interessi e culture. L’Europa superpotenza è oggi più lontana di quel che si sperava al momento della nascita dell’euro e dell’allargamento alle nuove democrazie a Est.