Tanti anni fa Linus, la rivista diretta dallo scrittore Oreste del Buono, vademecum dei ragazzi italiani curiosi, era squassata ogni mese da una polemica. Del Buono, uomo di sinistra bizzarro, internato in lager ma filo russo, amico del liberal Elio Vittorini ma affascinato dal conformismo comunista di Togliatti, pubblicava fumetti definiti «di destra», come il Dick Tracy, poliziotto duro americano di Chester Gould, o l’italiano Benito Jacovitti, inviso ai picchiatori dei servizi d’ordine. O come la «Paulette» di Wolinski e Pichard, esagerate tette da Playboy, donna oggetto a deridere le ossessioni tardo puritane del tempo. I lettori tempestavano di lettere la redazione, chiedendo censura contro «fascisti e reazionari», del Buono teneva duro: satira è libertà, ridere delle proprie idee, dei propri leader, di noi stessi.

La difesa della libertà  

L’attacco dei terroristi fondamentalisti a Charlie Hebdo, a Parigi, con la strage delle grandi firme francesi della satira ripropone nel sangue la saggezza di del Buono. Sì, certo, Charlie Hebdo è volgare, tronfio, eccessivo, in cerca della risata da guitti per sporcare idoli, principi, vacche sacre. Ma in questa libertà «eccessiva», senza confini, nel «No Law», nessuna legge contro il libero pensiero sancito dal II Emendamento alla Costituzione americana, è l’essenza della democrazia. Non difendere - come insegna il filosofo Popper - la libertà di chi la pensa come noi, ma la libertà e basta.

Il curriculum di artista  

Georges Wolinski, caduto ieri a 80 anni come improbabile martire con i suoi colleghi parigini, era nato a Tunisi, papà ebreo polacco, mamma italiana, apolide e anarchico. Il suo curriculum di artista - comprate online, o nelle bancarelle, i vecchi numeri di Linus e Alter Linus per rivedere con commozione le tavole che ieri ci facevano sorridere - è un bando di reclutamento contro il fondamentalismo islamico. Sangue ebreo, Europa Est e Italia, città natale araba, indole sensuale, dove le curve delle donne diventano sarcasmo contro i femminismi militanti. Nei bar di Rive Gauche, Wolinski se la cava con qualche litigata furibonda, letteracce come quelle contro Linus, musi lunghi.

La guerra globale  

Quando il nemico diventa il totalitarismo del Califfato la posta si fa tragica. Dalla censura degli ayatollah contro lo scrittore Salman Rushdie e i suoi «Versetti Satanici» (l’Italia, pavida, negò all’artista il visto, proibendogli perfino di volare con la compagnia di bandiera, finché una campagna internazionale e l’impegno personale di Massimo D’Alema non tolsero l’ipocrita bando), fino alla strage di ieri, l’Occidente e la cultura progressista europea, stentano a comprendere la Guerra globale. Per Al Qaeda o Isis è naturale convivere con il peggio del nostro mondo, purché ognuno regni in casa propria. È però inaccettabile convivere con il meglio del nostro mondo, diritti per le minoranze, culture, religioni, informazione, arte, senza oppressione.

«Scontro di civiltà»  

Lo studioso Samuel Huntington vide in questa battaglia lo «scontro di civiltà» e Oriana Fallaci ne popolarizzò la teoria, investendo gli emigranti di fede musulmana da avanguardia del nemico. Sbagliava Huntington perché da anni, dal Corno d’Africa a Kabul, sunniti, sciiti, curdi, alawiti, salafiti e l’intera umma, comunità islamica, sono divisi da una guerra civile senza quartiere, tra chi accetta di vivere nel presente e chi sogna il Califfato anticristiano. E gli emigranti, al contrario di quanto riteneva Oriana, sono la nostra avanguardia contro il nemico salafita. Il commando assassino di Parigi non tollera che un ragazzino magrebino possa ridere con il Charlie Hebdo, ballando in discoteca con ragazze, amici gay e un drink, lo vuole schiavo, come Isis a Falluja.

L’eroina sexy  

Paulette, eroina sexy di Wolinski, vive mille disavventure, rivoluzionaria ingenua tra conservatori sessuomani. Wolinski avrebbe riso all’idea che un fumetto valga una strage, armi ed eserciti li detestava da pacifista. La Guerra globale non ha però confini, Falluja e Parigi, Damasco e New York, Kobane e Roma, sono un solo teatro. Anche Enzo Baldoni era un collaboratore di Linus, traduceva le strisce di Trudeau, il disegnatore di Doonesbury, critico dei Bush, padre e figlio. Decise di andare in Iraq a vedere il dopoguerra, lasciando un ironico post sul suo blog «C’è f… a Bagdad?». Pochi giorni dopo fu assassinato senza pietà. C’è tra gli intellettuali europei l’illusione che la guerra al fondamentalismo sia una fissa dei «falchi yankee», roba da neoconservatori a Washington. La strage di Parigi conferma sinistra che la campana a morte suona per tutti noi. Se l’Occidente lascia, imbelle, la difesa della libertà agli American Sniper del film di Eastwood, perderemo anche noi la libertà. Se non ci credete non rileggete stavolta «Il Manuale di Controguerriglia dei Marines». Basta un caro, vecchio album di Linus, magari con la procace Paulette del grande Wolinski.