Il presidente Obama ha dato il meglio di sé alla convention nazionale democratica. Come molti commentatori hanno sottolineato, estrapolando qualche frase a destra e a manca si sarebbe potuto ricreare un discorso di Ronald Reagan. Ha parlato dei valori che tutti gli americani condividono. Quando sembra aver attaccato Donald Trump tanto da destra quanto da sinistra. Invece che dipingerlo come il volto del partito repubblicano, con una politica che si identifica con il malessere dei bianchi, l’ha descritto come “non repubblicano” e “non conservatore”. Nel momento più entusiasmante del discorso, il presidente l’ha criticato in termini che ogni conservatore anti-Trump potrebbe adottare: è un autoritario che crede che i problemi dell’America debbano essere risolti tramite la sua personale guida, non tramite la saggezza degli Americani, come i Padri Fondatori dell’America pensavano.

“L’America è già grande. L’America è già forte. E vi prometto, che la nostra forza e la nostra grandezza non dipende da Donald Trump. Anzi non dipende da nessuna persona singola. E, alla fine, potrebbe essere questa la grande differenza di queste elezioni: il significato della nostra democrazia. Ronald Reagan chiamò l’America una città splendente posta su una collina. Donald Trump la chiama una scena del crimine divisa che solo lui può aggiustare. (...) Non siamo un popolo fragile. Non siamo un popolo spaventoso. Il nostro potere non viene da un autoproclamato salvatore che promette di poter ristabilire l’ordine personalmente, fin quando facciamo le cose a modo suo. Non vogliamo essere dominati. Il nostro potere viene da quelle immortali dichiarazioni messe su carta per la prima volta qui a Philadelphia tanti anni fa. Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità, che tutti gli uomini sono creati uguali; che noi, il popolo, possiamo formare un’unione più perfetta. Questo è chi siamo. Questo è il nostro diritto di nascita”. [Obama]

Ted Cruz non avrebbe potuto dirlo meglio! (Davvero, provate a tornare indietro e leggere di nuovo queste righe con la voce di Ted Cruz. Funziona.)

Il discorso di Hillary Clinton è stato diverso. Sebbene abbia giustamente attaccato Trump sulle minacce che rappresenta all’autogoverno repubblicano, l’ha attaccato ancor di più su sicurezza nazionale e altre questioni. E, sopratutto, ha fatto un discorso che può essere catalogato solo come “di sinistra”, aprendo un dialogo con gli elettori di Bernie Sanders, promettendo tasse universitarie gratuite per molti Americani, e puntando il doppio sulla politica d’identità suggerendo, astutamente, che il suo sesso è un buon motivo per votarla.

Obama ha fatto un discorso indirizzato a tutti gli Americani, la Clinton alla sinistra del suo partito.

Questo è strano. In una campagna presidenziale, normalmente le nomine propongono un tipo di retorica unificante. È compito dei suoi sostitui, dopo, coinvolgere le basi del partito e colpire ai fianchi gli avversari.

Ora, la Clinton ha avuto problemi nell’unificare il suo partito dopo la furiosa lotta delle primarie con Sanders, e si è spostata a sinistra per riuscirci. Ma questo non spiega tutto. In fin dei conti, la convention ed il discorso di nomina sono, per un candidato, la via per presentarsi ad un ampio insieme di Americani, piuttosto che mobilitare la base del partito.

Appare chiaro che, durante le primarie, la Clinton si sia spostata a sinistra. È sempre stato dibatutto se l’abbia fatto solo per chetare il suo elettorato principale, o se l’abbia fatto per lanciare un segnale su come sarebbe andata avanti a novembre. Ancora non è detto che non voglia poi andare al centro, come il buon senso convenzionale vorrebbe. Infatti, se si pensa a cosa farebbe la Clinton per vincere una elezione, nulla è inconcepibile. Tuttavia appare meno probabile che mai.

Se dovesse proseguire con il messaggio di sinistra che ha presentato alla convention, allora sarà il candidato presidenziale democratico più a sinistra dai tempi di George McGovern o Michael Dukakis. E lei è una Clinton. Appartenente proprio ai pionieri dello stile democratico centrista, cauto e triangolare, che ha mantenuto il Partito Democratico competitivo nella politica nazionale così a lungo.

Molto chiaramente, Hillary Clinton ed il Partito Democratico vedono il 2016 come una elezione di base, dove per vincere devono mobilitare le proprie fondamenta, piuttosto che estendersi al centro. Ma questo praticamente non ha precedenti nella politica del Partito Democratico.

Ci sono state tante discussioni sull’idea che il cambiamento demografico americano abbia fatto emergere una “coalizione arcobaleno” per i democratici - una alleanza fra minoranze e bianchi della classe medio-alta che darebbe ai democratici una maggioranza nazionale. Qualcuno dice che le elezioni del 2012, dove Mitt Romney vinse formidabilmente con i bianchi ma perse malamente con le minoranze, dimostri la tesi. Ma le elezioni del 2012 videro anche un’affluenza storica degli Afroamericani, che elessero il primo presidente appartenente alla loro etnia. Faranno lo stesso anche per una bianca e ricca anziana signora?

È vero che se c’è qualcosa che può mobilitare le masse di Afroamericani, questa è fermare Donald Trump, che è riuscito a guadagnare un incredibile zero percento di votazioni da parte di cittadini neri nei sondaggi di alcuni stati terreno di scontro. Per non parlare del possibile scenario nel quale la candidatura di Trump provoca anche un’affluenza senza precedenti dei Latinos.

Ma è comunque una strategia rischiosa. Trump ha lasciato il centro completamente aperto. E mobilitare le fondamenta dipende dal demonizzare gli avversari. Trump è un bersaglio comune per far questo, ma i democratici potrebbero non esser consapevoli di star gridando “al lupo”, quando demonizzano i candidati repubblicani. Una ragione del successo di Trump è che la retorica isterica che lo riguarda - che è un autoritario, che asseconda e incarna pregiudizi razziali corrosivi per la società, e così via - sebbene giustificata su di lui, era stata usata ingiustificatamente su ogni altro candidato repubblicano. Il che significa che un gran numero di votanti incerti, sentendo questi attacchi, hanno semplicemente alzato gli occhi al cielo. Specialmente dato che provengono da una delle personalità pubbliche più inaffidabili della storia americana moderna.

Hillary è folle, o astuta come una volpe? Lo scopriremo presto.

(Traduzione a cura della redazione di riotta.it. Leggi l'articolo originale su theweek.com)