«Datemi un dollaro o voto Trump!»: il cartello esibito in strada da un ironico mendicante americano sta facendo il giro del web e, speriamo, frutterà qualche spicciolo al brav’uomo. Che ha coniato, col pennarello su un pezzo di cartone, la migliore analisi della politica occidentale 2016. Chi si sente escluso dai frutti del boom economico di tecnologia e globalizzazione, i giovani senza laurea, gli operai bianchi che perdono il lavoro in fabbrica, le anziane private della sospirata pensione, scelgono, a destra come a sinistra, la strada del populismo per vendicarsi del tradimento. 

Le elezioni che domani aprono, in Iowa, la corsa alla Casa Bianca sono considerate le più polarizzate nella storia recente. Tra i repubblicani il pittoresco miliardario Donald Trump mette, con la sua retorica: «Torni Grande l’America! Via Musulmani ed Emigranti!», nell’angolo l’ex favorito Bush e contende ai senatori Cruz e Rubio il primato. Tra i democratici, il senatore socialista Sanders, primo candidato da generazioni senza una fede religiosa dichiarata, vuol dar filo da torcere alla ex First Lady Hillary Clinton. 

A ben guardare, però, le ali estreme volano su rivendicazioni e malesseri comuni, malgrado le opposte ideologie. Al recente World Economic Forum di Davos la cifra più citata erano i 2,5 milioni di posti di lavoro che la tecnologia creerà nei prossimi anni, opposti ai 7 milioni di posti che distruggerà. Tutta la politica, in America e in Europa, da qui agli Anni Venti, sarà dominata dall’angoscia dei tanti, giovani e no, che temono di essere inghiottiti nell’abisso del saldo negativo tra le cifre di Davos, finendo tra le anime morte senza più status sociale. 

Gli elettori vicini ai Tea Party di Trump, arrabbiati contro l’Obama privilegiato laureato a Columbia e Harvard, vedono nella globalizzazione, nei braccianti ispanici, negli informatici di Bangalore, nelle megaziende di Silicon Valley i nemici, sognando la vecchia catena di montaggio della Gm di un tempo, con i 27 dollari l’ora di salario e le vacanze pagate. La sinistra «Sanderista» dei neolaureati retribuiti poco malgrado il college, cui le banche negano il mutuo e senza casa con un affitto decente, stufa di part-time si ribella. La grande globalizzazione Anni Ottanta, seguita all’apertura della Cina e agli accordi commerciali Wto, con il boom tecnologico digitale, è stata governata da una élite cosmopolita, multiculturale, dove il libero scambio di merci e idee si accompagna alla libertà di genere, identità, cultura: la classe dei mandarini che, ora, tanti elettori soffrono come nemici giurati. Trump, Sanders, Le Pen, Farage, Salvini, Grillo, Podemos, Tsipras, Corbyn, le destre in Danimarca, Ungheria e Polonia, hanno la stessa bandiera di rivolta contro tecnocrati e riformisti. Se il premier inglese Cameron inveisce contro gli emigranti, se il presidente francese Hollande blatera di togliere la cittadinanza ai terroristi francesi, non è dunque il contagio del virus Trump, ma il vano tentativo di riacchiappare la tigre populista per la coda. 

Ogni cedimento di propaganda che governi e politici moderati faranno alla piazza, cadendo ostaggio dei demagoghi, ne accelererà la consunzione. Serve guardare, con coraggio morale, alla radice del male, senza caricaturare gli avversari, come gli snob certi che ad esorcizzare Trump basti urlargli: «Fascista!». E la radice del male è giusto nello smarrimento del ceto medio, della vecchia classe operaia e dei giovani arrivati sul mercato del lavoro dopo il crack 2008, terrorizzati –stima la World Bank http://goo.gl/DN6MM - di perdere il benessere di padri e nonni. Nessuno fermerà globalizzazione e IV rivoluzione industriale, la tappezzeria del patchwork protezionista Destra-Sinistra, spaccia illusioni fruste. Serve passione, senza bla bla da «Agenda Globale» per intrecciare innovazione, investimenti, scuola e ricerca e ridare solidarietà, sicurezze, nuovi saperi a tute blu e colletti bianchi impoveriti. Un pianeta con Putin, Trump, Le Pen e Farage in Consiglio di Sicurezza Onu dovrebbe spaventarci, e non poco. Come la storia dolorosa della Guerra Civile Europea 1914-1989 (definizione dello storico inglese Barraclough) dimostra, i populismi protezionisti, se non contenuti presto da riforme e sviluppo, degenerano in società autoritarie. Gli establishment d’America e d’Europa possono ancora smorzare la carica della classe smarrita, reintegrandola nel dibattito razionale, ma il tempo stringe come il mendicante americano ha ben compreso: o crescita subito o carica dei 101 Trump.