Nel 1970, per celebrare il Mondiale di calcio in Messico che l’Italia avrebbe onorato con il mitologico 4 a 3 con la Germania, la rivista di fumetti Linus , diretta allora dallo scrittore Oreste del Buono – autore di un bel romanzo dimenticato per incuria, I peggiori anni della nostra vita - commissionò un poster al cartoonist argentino Oscar Conti, detto Oski. Oski lo affollò di goffi portieri, pelotas dalle traiettorie improbabili, dribbling avvitati come cavatappi e leggendo adesso il primo romanzo tradotto in italiano dell’artista argentino Roberto Fontanarrosa, L’area 18 , edizioni, la sua opera leggera torna in mente, con nostalgia.  

 Come Oski, Fontanarrosa, detto «Il Negro», nato a Rosario in Argentina – patria del Che Guevara e di Leo Messi - nel 1944 e scomparso nel 2007, era stato fumettista e autore satirico di racconti e romanzi. C’è un nesso magico e comico tra calcio, scrittura e cittadinanza argentina, ricordate Osvaldo Soriano di Triste, solitario y final, che ha scritto forse la più bella frase sul calcio «quel giorno non avrebbero fatto un gol neppure in una porta grande come l’arcobaleno»? Una foto che ritrae insieme Soriano e Fontanarrosa è raccontata per la rivista Studio di Federico Sarica – l’equivalente culturale 2014 del Linus di Del Buono 1970 - da Fabrizio Gabrielli nel saggio Rosario, il classico dei Titani, sul derby tra il Rosario, squadra delle «canaglie», e il Newell, squadra dei «lebbrosi», secondo i nomignoli dei tifosi locali. 

 Fontanarrosa - ricorda Gabrielli - diceva «preferisco che i lettori si c… sotto dalle risate leggendomi che ricevere il Premio Nobel per la letteratura…» e dunque non insegue la dolente sagacia di Soriano, o l’ossessione psicologica del brasiliano Santa Anna autore de Nò ultimo minuto un portiere ridotto a schiavo da un gol subito e sempre riguardato in moviola. Ma L’area 18, l’area di rigore dei campi da calcio, diventa luogo di mimica e sarcasmo perché Best Seller, il protagonista seriale delle pagine di Fontanarrosa, gioca a un football ideologico, dove emancipazione nazionale, sviluppo economico, benessere pubblico e privato scaturiscono solo da un match vinto. La partita clou sarà dunque contro la Nazionale africana del Congodia, paese che senza pallone sarebbe landa di schiavi, ma che, giocando in contropiede, spera di arricchirsi. Lo stadio è scavato dentro un vulcano attivo, il Mombasa, miraggio forse ispirato al romanzone di Malcolm Lowry Sotto il vulcano.  

 Fuorigioco e corner, diventano per Fontanarrosa scusa per irridere i tic del calcio e i tabù dell’Argentina, giocarsi il destino per un gol è follia, dal gaucho Garfagnoli, al brasiliano Dagomir, ai gemelli Heineken, al DT tedesco Muller. Secondo Gabrielli: «Forse L’Area 18 non è la miglior opera calcistica di Fontanarrosa, né la più brillante… probabilmente perché il romanzo non è la dimensione perfetta per il respiro della lingua del Negro, al contrario inappuntabile quando canta nella forma del racconto le gesta di un Quarto Stato sdrucito, sciarpa al collo e striscione ben arrotolato in spalla, portatore di una Weltanschauung (visione del mondo ndr) dominata da cabale personalistiche, stregoneria, rospi e manciate di sale, ceneri cosparse sul campo della squadra del cuore dopo la dipartite…».  

 L’area 18 ricorda a tratti Soriano, a tratti il primo Stefano Benni dei tempi di Bar Sport e La tribù di Moro seduto: «Tirò fuori una fotografia e la mise sul tavolo, davanti a Seller. Nella foto si vedeva una squadra di calcio e sullo sfondo spalti semivuoti. Uno dei calciatori in piedi, alle spalle di quelli accovacciati, era indicato sulla carta lucida con una freccia nera, probabilmente raschiata sul negativo. Seller aggrottò di nuovo le sopracciglia mentre il suo sguardo da gheppio cadeva sulla foto. “Dove l’hai trovata?” chiese a metà tra il curioso e il divertito, guardando il rovescio della foto. Un timbro con inchiostro blu specificava un numero di archivio e una data illeggibile.  

 Erbie non disse niente. Sorrise e basta, buttando a terra un pezzo di pane che gli era caduto sulle ginocchia. 

“È di quando ero nell’Halab Ladhiqiyah Sporting, di al-Raqqa” precisò Seller… 

“Già. Sei stato un professionista” aggiunse Erbie. 

“Sì, per poco. Due o tre anni al massimo”. 

“Non c’entra. Noi giornalisti sappiamo tutto”. 

“E cosa vuoi che faccia?” Seller sembrò spazientirsi. “Che scriva una colonna per il tuo giornale?” 

“Non ti chiederei mai una cosa del genere”. 

“Perché no? Non scrive forse anche Gina Lollobrigida?” 

“Voglio che torni a giocare, Best”». 

 Al Raqqa, dove giocava Best Seller nella fantasia del «Negro» Fontanarrosa, è la città capitale del Califfato Isis in Siria, bombardata in questi giorni dagli americani, centro dello scontro di civiltà del nostro tempo, area 18 dove il pianeta Terra si gioca tutto. La pelota es rotunda davvero…