Per capire davvero Hillary Clinton viaggiate al Museo di Little Rock. La capitale dell’Arkansas dove ancora si mangia pasticcio di scoiattolo (sa un po’ di pollo), e il proverbio recita «Grazie Dio per il Mississippi»; nelle classifiche di ricchezza il Mississippi è ultimo, l’Arkansas penultimo. Nell’Old South Hillary non ebbe successo. Al Museo conservano il vestito che indossò alla prima inaugurazione del giovanissimo marito governatore, 1979, orrore di colori e stoffe che la femminista dell’università di Yale, fiera degli «occhiali spessi come una bottiglia di Coca Cola», indossa sprezzante. L’aristocrazia di Little Rock la detesta, lo Stato è misero, ma tre famiglie, Waltons, Stephens, Tysons, con un patrimonio di 158 miliardi (secondo solo a New York!), animano una corte di lusso, Ballo delle Debuttanti nel ricordo delle Southern Belle, le seducenti, riservate bellezze come Rossella e Melania di Via col Vento. Hillary molla l’infelice abito al Museo, si libera del cognome del padre, Rodham, mette le lentine, liscia i capelli ribelli, fa l’avvocato, presto eletta tra i primi 100 d’America. Little Rock non arriccia più il naso e la fa accomodare al posto d’onore, con l’argenteria Robinson.   

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Questa era Hillary, questa sarà Hillary presidente se vincesse a novembre, malgrado la rimonta di Donald Trump, dato 53 a 47 dall’esperto Nate Silver. Hillary che difende il marito Bill dalle accuse di adulterio ai tempi della bionda Gennifer Flowers, 1992, (dopo avere lavorato al cabaret Kelsto Club di New Orleans, in un ex bordello, Gennifer milita con le «Trumpettes» pro Trump). Parla con durezza, «Io non sono mica una donnetta che difende il proprio uomo come in “Stand by your man”, la ballata di Tammy Wynette… potevo stare a casa a infornare biscotti, invece sono una professionista e allora?». Milioni di casalinghe, che infornano biscotti al week end, si ribellano, la popolare Tammy Wynette la mette a posto «Hai insultato i fan della musica country, le donne che faticano sole, senza che il marito le porti alla Casa Bianca».

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Tradita in pubblico, umiliata da sciocca snob, tanti e tante avrebbero ceduto. Non Hillary. Qualunque cosa passi nel suo cuore - nessuno lo sa, tranne un paio di amici sicuri - Hillary non cede. Chiama la Wynette, si scusa, la invita a un comizio, si abbracciano, pubblica su una rivista «la ricetta dei biscotti alla Hillary». L’irriducibile grinta da combattente, il «grit», andare al tappeto, rialzarsi e tornare sorridendo in tailleur pantaloni, («Pantsuit aficionado» recita la sua biografia twitter), al centro del ring per vincere il match, è la forza di Hillary. Segreto del pellegrinaggio da First Lady a senatrice di New York, alla sconfitta 2008 contro Obama nelle primarie, Segretario di Stato, undici ore di interrogatorio dei falchi repubblicani alla Commissione sulla strage di Bengasi, senza sbagliare una risposta, sorriso gelido (l’opposizione le imputa di non avere reagito tempestivamente al blitz terrorista, in cui cadono l’ambasciatore Stevens e tre altri americani). Alla Convenzione repubblicana, Trump convoca reduci di Bengasi contro Hillary dandole del boia indifferente. La reazione è fredda, efficiente: la mamma di Stevens scrive poche, perfette, righe «Chris non avrebbe voluto che il suo nome venisse usato così, spero che la campagna (di Trump) smetta di strumentalizzarlo con cinico opportunismo». 

Hillary non susciterà mai gli entusiasmi mistici che Barack Obama evoca, ieri il New York Times, con entusiasmo raro, ne definisce la presidenza «Fase di trasformazione forse perfino miracolosa». Nessuno si aspetta che Hillary cammini sulle acque ieratica come Obama o moltiplichi pani e pesci come si fa nel programma economico sanderista. Hillary Clinton però, diesel senza turbo, non detterà mai, come Obama in Siria, ultimatum che lascerà cadere impotente. Né mai si ritirerà dalla trattativa e dal negoziato, abrasivo, sporco, senza gloria con i repubblicani al Congresso. 

L’America 2016 vuole cambiare, a destra con Trump, a sinistra con Sanders. La vendita di case è al minimo storico dal 1965 quando Hillary era repubblicana come il padre, la gente ha di nuovo pochi soldi e tanta rabbia. A storcere il naso, ora, non sono i patriarchi dell’Arkansas, ma operai, impiegati, studentesse, che odiano i legami di Hillary con Wall Street, la sua faccia in tv da un quarto di secolo. Come Trump Hillary è apprezzata dal 37% dei cittadini, detestata dal 58%. Può darsi dunque che il richiamo della foresta di Trump attragga i repubblicani e l’amore per Sanders induca tanti democratici a starsene a casa, sconfiggendo infine a 69 anni la ragazza dalle lenti a fondo di bottiglia. Fino ad allora, però, immaginate Hillary al telefono con ogni incerto, «Pronto? Sono io», per fargli cambiare idea. Se vince immaginatela con Merkel, Putin, Xi Jingpin, l’opposizione «Sono Hillary, non ci siamo capiti, riparliamo, allora…».