Il razzismo non è male del passato, è spettro che infesta presente e futuro. Razzismo, antisemitismo, odio etnico e nazionalismi hanno fatto vittime ovunque nel XX secolo.  

Chiusa quella stagione troppi si sono illusi di vivere in armonia, arcobaleno di bambini in girotondo, come nelle figurine dell’asilo. La realtà è diversa. Crisi economica, globalizzazione, tecnologia cancellano il lavoro per operai, ceto medio e giovani mentre leader estremisti spaventano l’elettorato: «Gli emigranti ci rubano il lavoro, distruggono cultura e radici popolari!». Bugie grottesche, utili a chi cerca una strega da bruciare tra gli immigrati, vedi le recenti elezioni europee. 

 Per questo l’Instagram con cui ieri il centravanti della Nazionale Mario Balotelli s’è lamentato di attacchi razzisti contro di lui dopo l’eliminazione dell’Italia dal Mondiale è un autogol. È vero che il razzismo infetta il calcio italiano, lo sa chiunque vada allo stadio. Colpa di dirigenti federali conniventi, squadre opportuniste e della stragrande maggioranza dei tifosi che, distratta dal tifo, assolve striscioni razzisti. Ho ascoltato un intero stadio, tribune Vip comprese, irridere il fuoriclasse Eto’o da «vu’ cumprà nel metrò», senza che nessuno obiettasse. Il tifo acceca. 

 Qualcuno, quindi, può usare la prova negativa di Balotelli per sfogare il proprio razzismo, ma l’azzurro non può eludere le critiche schiette che, dopo averlo colmato di amore e passione, gli rivolgono milioni di tifosi veri. Balotelli deve fare i conti con se stesso, con i flop Inter e Manchester City e l’altalena di risultati con il Milan. Due anni fa, quando liquidò con i suoi gol la Germania, il web che tanto ama, da Twitter a Instagram, lo assunse a simbolo nazionale italiano, dipingendo perfino l’austero premier Monti con la sua cresta e la sua grinta, in opposizione alla signora Merkel battuta. Non è che allora l’Italia amasse «i negri» come scrive e ora li odia. Allora applaudì un campione, oggi fischia un neghittoso giocatore che litiga con la fidanzata, i compagni, il mondo intero e non segna gol fatti. 

 È una ricchezza del nostro tempo, miracolo di progresso, che Obama sia presidente degli Stati Uniti, Tiger Woods un golfista celebrato, la signora Kyenge eurodeputata e già ministro della Repubblica, mentre Balotelli guida la Nazionale. Ma questa ricchezza non preserva Obama, Woods, Kyenge e Balotelli da critiche legittime. Nel suo storico discorso alla Marcia di Washington del 1963, il «sogno» del reverendo Martin Luther King era che ciascuno di noi sia giudicato per il carattere e le azioni, senza pregiudizi di pelle. È questa una società libera dal razzismo, non un luogo dove le minoranze sono coccolate da ombrelli di protezione, ma una comunità dove ognuno è giudicato per le sue azioni, libertà è responsabilità. Discriminazione razziale, di sesso, religiosa, contro gli anziani («ageism», vocabolo inglese che non ha traduzione in italiano, dove in politica l’insulto «sei vecchio!» ha, purtroppo, libero corso) non vanno confuse con critiche franche. 

 Mario Balotelli sta sprecando un talento da campione purissimo, ed è un peccato per la Nazionale italiana, i suoi club e per lui. Neymar, Messi e Robben incantano al Mondiale, lui impreca su Instagram. Dilapida la fortuna ricevuta talento e famiglia, abbandonato in ospedale a Palermo dai genitori naturali, accudito in quella città finché, amorosamente, non l’ha accolto la nuova famiglia bresciana. Poteva essere campione simbolo della nuova Italia multirazziale e multireligiosa, unire nel tifo Nord e Sud, vecchi e giovani. Non era suo dovere, poteva farlo, ha deciso di restare caparbio, scontroso, solo contro tutti, perduto in una battaglia di astio che non potrà che perdere, e chi gli vuol bene deve spiegargli che così sarà. Invocare il razzismo non cancella le partite scialbe e spunta un’arma importante. Mario grida incauto «al lupo al lupo!», la prossima volta che un giocatore sarà vittima di veri atti razzisti le critiche risulteranno meno efficaci. 

 Quanto all’Africa dove «i negri» sarebbero più umani e comprensivi, Balotelli dovrebbe chiedere a Eto’o o Muntari come vanno davvero le cose nel continente, informarsi quanto soffrano, nel calcio e fuori, gli africani dal genocidio Hutu e Tutsi, alla mattanza janjaweed in Sudan, ai massacri e stupri di Boko Haram in Nigeria. Siamo fieri di Balotelli italiano, ora tocca a lui imparare a dire «ho sbagliato», senza nascondersi con furbizia «italiana» dietro le bandiere nobili di uguaglianza e libertà.