Contro Isis e Al Qaeda l’Occidente va in ordine sparso: serve un’azione comune

La strage di Parigi conferma come il dibattito, europeo e italiano, su terrorismo e guerre asimmetriche resti ancorato agli errori del 2001. A sinistra si obietta che solo «dialogo e diplomazia» batteranno l’insorgenza islamica, «perché la guerra non risolve nulla», a destra Le Pen e Salvini usano l’attentato a Charlie Hebdo nella campagna anti-emigrazione, malgrado una delle vittime sia un poliziotto musulmano. Dopo le débâcle in Iraq e Afghanistan, guerre durate oltre dieci anni e senza risultati positivi, gli Stati Uniti hanno invece avviato una dolorosa revisione strategica, per comprendere cosa l’Occidente stia sbagliando nel confrontare al Qaeda e Isis e come non ripetere gli errori. Al di là dell’ambito militare, questa discussione è del tutto ignorata da noi, grave omissione che ci avvia a nuovi scacchi. 

Nessuna strategia  

Lo scorso novembre esce lo straordinario saggio del generale Daniel Bolger «Why we lost». Dopo aver combattuto a Baghdad e Kabul, Bolger, generale con dottorato di ricerca in Storia all’Università di Chicago, non ha dubbi: gli Stati Uniti hanno perso «the Long War», la guerra più lunga, perché le forze armate sono straordinarie nella tattica sul campo, ma la politica e gli stati maggiori non hanno una strategia quando la battaglia si conclude. I militari, scrive Bolger, non hanno fantasia, sviluppano piani per combattere Stato contro Stato, vanno in confusione davanti a Isis e al Qaeda, network di combattenti ideologici che cambiano natura, alieni. Al Qaeda non occupa terreno, parassita altri regimi, dai talebani al Corno d’Africa. Isis decide invece che lo status quo degli accordi europei Sykes-Picot 1916 è finito e fonda uno Stato terrorista tra Siria e Iraq.  

 Il generale Graziani in Libia  

Lo studioso John Schindler osserva che normalizzare una così vasta area di territorio richiede impegno militare gravissimo, e che nella storia l’ultima operazione del genere ad avere successo fu condotta dal generale italiano Graziani in Libia alla fine degli Anni 20, contro i ribelli dello sceicco Omar Mukhtar, con armi chimiche illegali, centomila civili deportati, fucilazioni di massa. I tedeschi non ci riuscirono in Jugoslavia durante la Seconda Guerra Mondiale, malgrado dispiegassero 600.000 uomini. Oggi, conclude Schindler, brutalità alla Graziani non sono pensabili, servono dunque altre idee. Non aspettatevi però risposte semplici, slogan da talk show. Sul prezioso blog Small Wars Journal Joseph Collins, ex colonnello dell’esercito Usa e ex sottosegretario alla Difesa, chiarisce perché siamo in difficoltà, se non «sconfitti» come opina amaro il generale Bolger. 

I sondaggi prima di tutto  

La politica, a Washington e in Europa, è polarizzata, i leader hanno a cuore i sondaggi del momento e le elezioni prossime, sono incapaci di strategie e visioni, mentre il nemico fondamentalista ha disciplina di lunga durata. George Kennan disegna il piano per «contenere l’Urss in un telegramma dall’ambasciata Usa a Mosca del febbraio 1946 e fino alla caduta del Muro di Berlino nel 1989 gli americani si attengono tenaci alla sua proposta. Contro il fondamentalismo Reagan decise di ritirarsi dal Libano 1983, Bush padre creò la vittoriosa coalizione 1990 anti Saddam in Kuwait, Clinton si limita a qualche raid aereo dopo gli attacchi alle ambasciate Usa in Africa 1998, Bush figlio attacca l’Afghanistan, con la Nato nel 2001 e l’Iraq da solo nel 2003, Obama parla di pace al Cairo, usa i droni, giustizia Bin Laden, si ritira in fretta da Baghdad e Kabul, salvo rilanciare i raid su Kobane per fermare Isis in Kurdistan 2014. Amnesie che uno spietato rapporto dell’istituto Rand, preparato per lo Special Operations Command dell’Esercito Usa, condanna e gli europei dovrebbero mandare a memoria.  

La mescolanza dei ruoli  

La guerra asimmetrica mescola ruoli, Osama e al Baghdadi sono leader civili, militari, religiosi e di propaganda, in Occidente i generali non capiscono i politici e viceversa, i politici diffidano dell’intelligence, la propaganda stenta online e i commandos non sanno a chi riferire dal campo. Ieri il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha detto bene: finché Isis occupa uno Stato terrorista non ci sarà pace in Europa. Ma battere il Califfato è arduo perché la guerra asimmetrica non sappiamo farla, non c’è consenso nell’opinione pubblica, difettiamo in cultura, preparazione, impegno.  

 La Nato senza un accordo  

La Nato, che ha sconfitto l’Urss, non ha neppure un piano comune contro terrorismo e insorgenze islamiche, ogni Paese è lasciato a se stesso, manca accordo. Tre ufficiali Nato, Lee Jae Hun, Peter Pedersen e Chad Pillai denunciando con allarme in un rapporto come Usa ed Europa non abbiano alcun coordinamento civile, militare o di intelligence contro la guerra asimmetrica e i governi si ritrovino soli, costretti ad azioni sporadiche e dunque perdenti. 

Una nuova alleanza  

Per vincere il terrorismo fondamentalista, ovunque, servono presto una nuova alleanza e una nuova strategia, chiudere con l’astio seguito al caso Snowden, condividere intelligence, adattare le forze armate alla sfida asimmetrica, fronteggiando nel contempo Cina, Russia, Corea del Nord e Iran. Non aspettatevi miracoli. Senza una riflessione profonda, idee serie e non polemiche vacue, avrà ragione il generale Bogler: americani ed europei sconfitti insieme.