Maya Angelou aveva lavorato per il leader radicale nero Malcolm X, a New York, poco prima che venisse ucciso da estremisti musulmani, era stata attrice e cantante di calypso, aveva lavorato in Africa, s’era sposata forse tre volte, ma non teneva il conto «per non sembrar civetta». Scriveva di esperienze come prostituta, finite male, e tenutaria di bordello, stavolta un successo. Per mantenere il figlio aveva fatto la cuoca, la ballerina a ore, la segretaria, la meccanica in un’autofficina, l’autista dei bus, prima donna nera dietro il volante. Dove finisce la narrativa nella sua opera, e dove comincia l’autobiografia non è chiaro, gli spogliarelli in club di periferia, la nonna gentile e solida che la alleva dopo che padre e madre, infermiera lei, gentleman perduto nel Sud razzista lui, si separano. Da bambina diceva di essere stata stuprata dal compagno della madre, poi condannato alla galera, ma ucciso – forse dagli zii di Maya, soprannome d’infanzia che resisterà per sempre. La piccola, per lo choc, non parla più per anni finché la madre non la porta a scuola in California e la timida afroamericana cresciuta tra le piantagioni crudeli di Stamps, in Arkansas, sente che la sua vita di dolore e travagli, a 16 anni ebbe un figlio e restò ragazza madre, deve culminare nella scrittura. 

Sarà dunque l’autobiografia il genere letterario di Maya Angelou, il nome limato di uno dei mariti, il marinaio greco Angelos. Il primo volume, tradotto in italiano da Frassinelli come Il canto del silenzio, ha un titolo più seduttivo in inglese I know why the caged bird sings, so perché canta l’uccellino in gabbia, che potrebbe far da sigla ai sei tomi che la scrittrice dedicherà a se stessa. Come, nello spazio di due generazioni, l’America passi dallo stupro sistematico delle donne afroamericane, lo sfruttamento nei campi, l’apartheid sancito dalla Corte Costituzionale e dalle leggi chiamate «Jim Crow», a un presidente, un capo di stato maggiore, un giudice supremo, decine di manager, docenti universitari, sindaci, uomini e donne di sport e spettacolo neri, resta una delle meraviglie del nostro tempo. E rileggere della Angelou che passa attraverso ogni umiliazione, vedendo l’orgoglio della propria gente calpestato, per arrivare al Tony Award per Look away, 1973, ricorda, al di là e prima del valore narrativo, un percorso di dolore. Se Ralph Ellison di L’uomo invisibile, Malcolm X nella sua Autobiografia redatta da Alex Haley e Richard Wright di Ragazzo nero scelgono la sobrietà scabra per narrare il razzismo, non essere notati da nessuno, stirarsi i capelli crespi, agognare affamati un panino alle acciughe, la Angelou è barocca, eccessiva, picaresca, violenta, il suo Inferno ha urla, suoni, passioni, crudeltà senza limiti. 

 Parecchi critici, non senza ragioni, ne denunceranno i limiti di scrittura, lamentando retorica e grand guignol, commoventi ma artificiosi. Qualunque siano le osservazioni artistiche, il pubblico interpreta la storia di Maya Angelou come il diario di una sopravvissuta, e i talk show tv, da Oprah Winfrey ai telegiornali Cnn, ne faranno testimone quotidiana del razzismo. Sarà però il presidente Bill Clinton, chiedendo alla scrittrice di leggere suoi versi all’inaugurazione del primo mandato, nel 1993 a Washington, a rendere la Angelou volto noto ovunque. La poesia ha scarso valore, «… oggi la Roccia ci richiama, con chiarezza, forte, venite, da me vedrete il vostro distante destino, senza cercare rifugio nella mia ombra, dove non avrete nascondiglio…», ma l’immagine della ragazza usata e gettata via dall’America come uno straccio che, alta un metro e 80, elegante, imponente, eloquente, battezza nella sua gloria il nuovo presidente – così caro alla comunità afroamericana da esser soprannominato «il primo presidente nero» - non verrà mai dimenticata. 

 Nata a St. Louis, Maya Angelou aveva 86 anni. Più ne studiate la vita incredibile, più emergono incontri unici, Alvin Aley con cui recita in coppia, un musical mancato con Truman Capote, ballerina in Porgy and Bess, cantante al leggendario teatro Apollo di Harlem, attivista con Rustin, il braccio destro di M.L. King, gli anni in Africa, ad Accra e al Cairo, la popolarità con la serie tv Radici, nella parte della nonna del protagonista Kunta Kinte, un’infinita saga, come un libro della Angelou…