La leggenda vuole che gli indiani della tribù Lenape abbiano venduto l’isola di Manhattan e New York agli olandesi per un pugno di perline. La storia registra piuttosto, in un documento di Pieter Janszoon Schagen del 1626, che la somma pagata sia stata 60 fiorini.  

Al prezzo di oggi non i 24 dollari in chincaglieria del mito, ma 770 euro: chiaro, comunque, chi fece l’affare. Il cattivo business del 1626 torna in mente oggi esaminando l’accordo - storico - firmato al Palazzo dell’Eliseo a Parigi tra il presidente francese François Hollande e il presidente di Google Eric Schmidt. Hollande è il capo tribù dei Lenape, Schmidt la versione odierna del leader olandese Peter Minuit. La visione politica e culturale di Hollande su informazione e tecnologia è ferma al XVIII secolo, quando gli Illuministi dominavano Parigi. Schimdt comprende la strategia delle notizie e del dibattito nel XXI secolo. Impressiona quanto obsoleto sia l’orizzonte del leader francese e quanto ricco di audacia quello dell’imprenditore americano. 

Da tempo gli editori di giornali francesi, come i loro colleghi tedeschi e italiani, si lagnano del motore di ricerca Google che, a loro dire, si impadronisce di contenuti di proprietà delle aziende editrici e li rilancia sul proprio aggregatore di notizie, senza pagare. Le difese proposte contro l’algoritmo con cui Google archivia gli articoli sono state, fin qui, arcaiche. In ottobre Hollande minaccia Google con una tassa da pagare ogni volta che il motore di ricerca pesca un articolo dai media francesi. La risposta di Schmidt è duplice, appello di maniera alla libertà online, e la rappresaglia di cancellare tutti i siti web francesi da Google se la gabella fosse stata imposta a viva forza. 

I termini della disputa sono chiari: editori e giornalisti difendono il loro diritto proprietario sui contenuti, Google manovra nel mercato aperto online. Il tema del copyright ha già costretto il mondo della musica alla metamorfosi, finché con i video di YouTube e i micropagamenti via iTunes si è trovato un precario equilibrio. Gli artisti lamentano meno incassi, meno creatività, costretti ai concerti per recuperare introiti perduti con i dischi. Il pubblico ribatte che l’accesso alla musica è più semplice ed economico. 

L’accordo tra Hollande, che rinuncia alla voce grossa, e Schmidt, riconosce a Google il diritto di non pagare tassa alcuna e non concede neppure un euro agli editori. Google si limiterà a pagare 60 milioni di euro (l’equivalente dei 60 fiorini del 1626…) a un «fondo per finanziare l’innovazione digitale nei giornali», promettendo inoltre di favorire l’aumento delle risorse pubblicitarie a disposizione online. 

È una sconfitta culturale per i francesi, una débâcle strategica come a Waterloo, quando si leva il grido «La Guarde recule». La stampa francese, erede di Voltaire, D’Alembert, Aron, Camus, Hubert Beuve-Méry delega a un colosso americano nato nel 1997, 17 anni dopo la morte del filosofo Sartre, l’innovazione digitale. Riconosce cioè che la sua sola risorsa superstite sono i contenuti negli archivi e la capacità di riprodurli, cioè il passato e un labile presente, ma svende il futuro del giornalismo, la sterminata e fertilissima prateria online. È come se una nazione ricca di petrolio avesse concesso per sempre a qualcun altro l’uso dei suoi oleodotti. Google - va dato atto a Eric Schmidt e al suo capo economista Hal Varian - stravince la partita del domani, assicurandosi che ogni sviluppo digitale nell’informazione a Parigi sarà marcato dal brand. Temo che né il presidente Hollande – reduce da un tour della «vittoria» in Mali che a qualcuno ricorda la frettolosa bandiera «Missione compiuta» di G.W. Bush per l’Iraq 2003 - né gli editori francesi ricordino il monito saggio lanciato da Varian sulla rivista The Atlantic nel 2010: «Come salvare l’informazione? Innovare, innovare, innovare» http://goo.gl/cAXzG

Ora tocca agli editori tedeschi, con la cancelliera Merkel che, in campagna elettorale, fa la dura, poi cederà, quindi agli italiani, che non sembrano dimostrare maggiore fede dei colleghi transalpini nel giornalismo digitale. Il commissario europeo Almunia, che «indaga» su Google ormai dal 2010, ha da venerdì sul tavolo una proposta di compromesso firmata Schimdt: la accetterà. 

È pura illusione, per gli editori, i giornalisti, i governi, l’Europa, le organizzazioni internazionali, pretendere di «pilotare» la formidabile rivoluzione in corso. Amazon, Google, Apple, YouTube, Wikipedia, Facebook, Twitter, giganti spesso in guerra tra loro, sono la realtà. Occorre battersi perché l’accesso ai contenuti resti libero, perché il giornalismo di eccellenza non si estingua, perché i monopoli non dilaghino, perché nelle scuole e nelle start up digitali lo Stato promuova idee e ricerche. Ma finché Hal Varian, Eric Schimdt e Google conoscono il segreto del sapere digitale, «Innovare!», e politici e media europei si ostinano a credere come Hollande nel totem rassicurante «Conservare!», sappiamo già chi plasmerà l’informazione del XXI secolo e chi farà invece da modello, elegante e sfarzoso magari, al Museo delle Cere dei Media.