«Ora siamo al prossimo passo. Le opportunità sono globali, diffondere prosperità e libertà, promuovere pace e comprensione, salvare dalla povertà, accelerare la scienza, fermare il terrorismo, il cambio del clima, le epidemie. Il progresso ci chiama a una globale comunità»: un anno fa, in un documento di 6000 parole battezzato online «Il Manifesto di Mark», il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, 33 anni, promulgava la sua filosofia per il nostro pianeta.

Con il presidente neoeletto Trump, primo imprenditore alla Casa Bianca, tanti pensarono che il «Manifesto di Mark» lanciasse la corsa presidenziale 2020 di Zuckerberg, quarto uomo più ricco al mondo, salario di un dollaro l’anno, patrimonio di 60 miliardi di euro. 

Harvard University, che aveva lasciato al secondo anno per varare Facebook, dai compagni di dormitorio a un miliardo di esseri umani, si affrettò a concedere una laurea ad honorem all’ex studente, che leggeva in francese, latino e greco antico, e abbandonava il computer solo per il fioretto, capitano della squadra di scherma.  

Zuckerberg che segnalava i libri preferiti al Club mensile del Lettore sparandoli in classifica, Zuckerberg che prometteva di donare l’intera ricchezza prima di morire, Zuckerberg che a Natale comunicava di aver ritrovato la fede, «mi hanno educato all’ebraismo, poi non credevo, adesso son tornato a ritenere importante la religione», Zuckerberg che studiava cinese per parlare con la moglie Priscilla Chan, famiglia di profughi vietnamiti di lingua cantonese, pediatra e capo della filantropia di famiglia, Zuckerberg che, insomma, era l’erede del manto perduto da Steve Jobs, fondatore di Apple morto giovane, ultimo profeta della tecnologia salvatrice dell’umanità. 

Ma la storia, la politica, la guerra, gli intrighi, non hanno riguardi per l’entusiasmo tenero di una ex matricola di Harvard, risoluto a combattere il male, come i compagni di crociata high tech: «Non fare il male», è il motto del colosso Google. Facebook, giocattolo per comunicare con gli amici della porta accanto, si ingigantisce in social network che, nota Alexis Madrigal della rivista The Atlantic, diventa per tanti la sola strada di accesso al web e alle notizie. Nel 2013, Zuckerberg può legittimamente vantarsi con gli investitori «Ogni giorno le persone postano su Facebook miliardi di informazioni, contenuti e relazioni che, messi in rete, disegnano i migliori modelli di qualunque cosa esista al mondo». 

Il ragazzo prodigio, cui la vita ha arriso presto, ha ragione, Facebook davvero è lo Specchio più perfetto del Reame Terra 2018, ma riflette anche le Brame peggiori, non solo le migliori. Si comincia a parlare di disinformazione pilotata dalla Russia su Facebook, girano spot pubblicitari pagati in rubli da fonti vicine al Cremlino, nell’estate del 2016 – con scelta amletica – il presidente Obama decide di non svelare ai cittadini la trama, e infine lo scandalo scoppia violento, i social media presi in ostaggio per lavare il cervello agli elettori, rubandone i dati in segreto. La reazione del vulcanico Zuckerberg stavolta è moscia, «Solo l’1% dei nostri contenuti è falso» ammette, dimenticando che nessuno mangerebbe da una scatola di 100 cioccolatini, se solo uno fosse all’arsenico e non sapessimo quale. E quando il caso Cambridge Analytica gli costa 30 miliardi di euro in Borsa e trascina in basso gli altri titoli tecnologici, Zuckerberg sparisce, il capo della sicurezza Stamos deve cancellare i tweet di scuse tra mille litigi e in estate lascerà per sempre il social network. Da anni, a Facebook, gli uomini della sicurezza, che difendevano la privacy degli utenti da nerd, secchioni informatici, si battevano contro i manager del business, gente che magari non sa scaricare un programma al telefonino, ma è attenta ai profitti. Lo scontro di cultura è scoppiato dirompente, Mark non ha saputo gestirlo, incapace di scusarsi con sincerità, affrontando la crisi di fiducia, né con 6000, né con 600 parole. Il suo giocattolo è diventato un’arma, ma chi la impugna nell’ombra non vuole né pace, né giustizia, vuol vincere e basta. Questo inganno della storia che i greci antichi conoscevano bene brucerà forse a Zuckerberg, che li leggeva ragazzo, più dei miliardi perduti.