Donald J. Trump, eletto 45° presidente degli Usa, sarà dunque la 90a Persona dell’Anno, scelta per il 2016 dalla rivista «Time». Una dei finalisti contro il magnate repubblicano era la rivale Hillary Clinton, un obbligo in caso di vittoria.

Tra gli altri, gli hackers, i pirati informatici che hanno penetrato ogni segreto, spesso agli ordini di questo o quel despota, il leader turco Erdogan, la cantante Beyoncé e gli scienziati del metodo Crispr che stanno rivoluzionando la ricerca sul Dna.

Ma Trump era strada obbligata, la sorpresa della sua elezione che ha spaccato l’America in due, la personalità controversa, adorata dalla base detestata dagli avversari, l’uso abilissimo che fa dei new media, conducendo diplomazia e politica industriale via Twitter, contro la Cina e la Boeing per esempio, lo impongono campione del 2016. Non si stupisca comunque il lettore - sta capitando ancora negli Usa - se Trump non gli è gradito, «Persona dell’Anno», come si dice da quando l’originale Uomo dell’Anno è finito per maschilismo nel 1999, non implica pensieri positivi o attività benefiche. Hitler vinse il titolo nel 1938, alla vigilia della II Guerra mondiale, Stalin ottenne ben due copertine da Uomo dell’anno e anche l’ayatollah Khomeini fu premiato. 

Trump vince, secondo i giornalisti di «Time», perché incarna lo spirito del tempo, il populismo rabbioso contro le élite della globalizzazione e della tecnologia, la rivolta del ceto medio e dell’antica classe operaia, impoverite da crisi del 2008 e automazione, contro lo status quo. Dalla Francia di Marine Le Pen, e adesso del conservatore Fillon che denuncia insieme «fondamentalismo islamico, imperialismo americano ed egemonismo asiatico» come pericoli uguali, fino alla Brexit di May e Farage a Londra e alla crisi di governo in Italia, il malessere di quelli che si chiamavano «colletti bianchi e tute blu», la media e piccola borghesia e gli operai, ha spazzato via gli equilibri del XX secolo. 

Patto Atlantico, diplomazia felpata, mercati aperti, rispetto per gli alleati, ogni totem è stato abbattuto quando la «middle class», in America e in Europa, ha scoperto quello che studiosi come Picketty e Gordon predicavano da anni: la diseguaglianza diminuisce in Asia e America Latina, ma cresce da noi, lo sviluppo del boom, American Graffiti e Dolce Vita, è fermo. 

Pochi ricordano oggi il primo Uomo dell’Anno, 1928, l’aviatore Charles Lindbergh, celebrato per la trasvolata New York-Parigi in solitario, 33 ore sull’Oceano. Lindbergh, allora amatissimo, divenne però poi, tristemente, un attivista populista, predicando una dottrina di protezionismo, chiusura agli emigranti, xenofobia, fino a smaccate simpatie per la Germania di Hitler. In 90 anni il mondo ha fatto il giro completo, 360 gradi. Trump è accusato di «fascismo», a destra e a sinistra, a mio avviso con troppa precipitazione, ma di certo condivide, almeno nella retorica, vedremo poi se anche al governo, gli istinti di Lindbergh, rinchiudere l’America in un cupo, risentito, isolamento. Ci sono voluti 90 anni per questa involuzione, dal primo al novantesimo Uomo dell’Anno di «Time»: poi dicono che la Storia non ha fantasia, e malizia!

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