In una divertente scena del classico film «Casablanca», cercando scuse per chiudere il bar di Rick-Humphrey Bogart, il simpatico capitano francese Renault sbotta: «Sono scioccato: qui si gioca d’azzardo!», giusto mentre il croupier gli paga il pizzo. Lo stesso choc, ipocrita e imbarazzato, percorre le cancellerie occidentali che fingono pubblica sorpresa, «Scioccate!» nell’apprendere che da parte degli alleati americani ci sarebbero stati controlli su partner europei, ambasciata italiana a Washington inclusa, con il programma Dropmire impiantato sui cryptofax delle sedi diplomatiche Ue. 

 La pratica, resa pubblica dal giornale tedesco Der Spiegel e dal quotidiano inglese The Guardian su informazioni a seguito del caso Nsa, Prism e della talpa Edward Snowden oggi rifugiato nella Russia di Putin, non è né bella, né decorosa e dispiace alla pubblica opinione perbene. Spiarsi tra amici non è carino. Ma come sanno diplomatici, politici e professionisti degli affari internazionali, l’intelligence prova a controllare «tutto» il traffico di informazioni, nemico e amico. Gli inglesi tenevano d’occhio De Gaulle durante la II guerra mondiale. Italia e Germania, alleate, si marcavano in manovre la cui eco arriva nei «Diari» di Ciano. 

 In Guerra Fredda Parigi, Washington, Londra, Berlino, Roma, Tokyo, compagne di barricata, intercettavano, mettevano microspie, leggevano di soppiatto dossier militari e industriali.  

 Come nei vecchi 007 di Sean Connery, quando il capo dello spionaggio M invita a collaborare «up to a point», fino a un certo punto, con la Cia. Oltre la Cortina di Ferro gli intrighi tra Mosca e Pechino furono sanguinosi, dagli scontri del 1969 all’isola Zhenbao, sul fiume Ussuri, all’aereo precipitato in Mongolia con a bordo il maresciallo Lin Biao nel 1971. 

 Bene dunque fa la signora Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, ministro della Giustizia tedesco, a chiedere corrucciata alla Casa Bianca di Barack Obama un chiarimento: ma occorre rapidamente riportare la vicenda alle sue reali proporzioni, evitando che la propaganda, americana, europea, russa o cinese che sia, prenda il sopravvento. E soprattutto evitando che il cruciale patto commerciale Usa-Ue finisca ostaggio della scherma tra spioni.  

È comico che regimi formidabili per l’occhiuto controllo sui propri cittadini e la repressione sui dissidenti, facciano di Snowden un eroe e di Obama il Grande Fratello. Le tv di Mosca, su velina del governo, dipingono l’ex collaboratore Nsa, rifugiato all’aeroporto della capitale, da Robin Hood che rivela al mondo come la libertà di stampa sia privilegio dell’ex Urss, conculcato nel Paese che ha inventato il web. 

 Se gli europei, come sta capitando a qualche leader a caccia di titoli d’estate, cadranno nella trappola tesa da Putin e servizi cinesi per imbarazzare Obama, avranno forse qualche piccolo ritorno di immagine, ma alla lunga pagheranno un prezzo cospicuo nella condivisione delle informazioni e nell’antiterrorismo. 

 Da parte sua Obama dovrebbe seguire le indicazioni del saggio senatore Udall, e – anziché girare il mondo leggendo discorsi sempre colmi di retorica affascinante, fratellanza e giustizia per poi in segreto seguire le politiche del suo detestato predecessore G. W. Bush - eliminare i protocolli segreti del Patriot Act per continuare sì nell’opera di intelligence, ma senza gli aspetti più oscuri ed odiosi, sottratti al controllo giudiziario. Ai tempi della Commissione Church, nel 1975, l’America seppe ripulire in pubblico gli eccessi di Cia, Nsa e Fbi in tempo per la fine della Guerra Fredda. 

Chi voglia però davvero comprendere il caso Snowden, Prism, Nsa, al di là di ipocrisie e propaganda, deve rimetterlo dove è sempre stato, scontro tra sistemi di spionaggio internazionali, non nobile campagna di giornalismo contro il Potere. La gaffe del Guardian, costretto a rimuovere dal suo sito un’ulteriore accusa, già in edicola nell’edizione cartacea, è la conferma che di buona informazione poco sopravvive in queste ore. Cercando di trascinare l’Italia nel calderone, s’è fatto vivo Wayne Madsen, ex spia che ora vive di complotti e fole, persuaso che Obama sia «un gay, rinnegato africano, impostore alla Casa Bianca». Che la prestigiosa testata anglosassone cada nella sua provocazione, fino all’imbarazzante retromarcia di cancellare l’articolo online senza dare ai lettori spiegazione alcuna (a proposito di «trasparenza»…), prova come Prism rifranga poche «verità», mentre la spudorata propaganda di parte accechi tanti, furbi o ingenui che siano.