Quando infuriava l’epidemia Aids, senza cure possibili negli anni ’80, intervistai per il settimanale l’Espresso gli scrittori omosessuali che narravano nei loro libri il dolore di quella triste stagione. Alcuni di loro s’erano raccolti nel «Violet Quill», gruppo di ricerca, scrittura, autoanalisi, compagnia. C’era l’austero italo-americano Robert Ferro, scomparso nel 1988, cronista delle radici familiari, la scoperta della sessualità, il contrasto improvviso tra ieri e oggi. E c’era Edmund White, autore raffinato di E la bella stanza è vuota, tradotto allora da Einaudi: la «beautiful room», la «bella stanza» è l’intimità dei sentimenti, troppo spesso lasciata vuota dalla sensualità sfrenata anni Settanta, discoteche, terme per frettolosi incontri di un’ora, allegria magari forzata, ma che la malattia renderà quasi magica.

White mi salutò dicendo «Forse anche io morirò», ma grazie a Dio è sopravvissuto a tanti amici e colleghi e ha continuato a scrivere cronache sofisticate ed eleganti del nostro tempo. Il suo diario letterario è sempre rimasto a spiare quella «bella stanza» da arredare, l’intimità che sentiamo deserta, tutti, etero e gay. Nel nuovo libro - ora tradotto in italiano Jack Holmes e il suo amico (Playground) - White torna ai temi di sempre, con ironia che ricorda lo scomparso Gore Vidal: Jack Holmes scrive di arte sulle riviste patinate, ha flirtato da ragazzo con le amiche ma ha poi scelto («non esistono omosessuali, esistono atti omosessuali» ripeteva Vidal) l’omosessualità ed è innamorato di Will Wright, serio, perbene, eterosessuale.

I due personaggi del romanzo, Jack&Will, sono disegnati da White come in una sceneggiatura da film, nessun giro ambiguo di descrizione, il lettore, soprattutto americano, riceve immediatamente i segnali dell’identikit psicologico. Jack, e da questo dettaglio il libro riceve tanti spunti comici, è virilmente superdotato, i suoi genitori hanno le nevrosi del tempo, papà manager dell’auto a Detroit. La scelta del mondo dell’arte cinese per lavorare gli permette di incrociare parties e cocktail e di indagare freneticamente nella «bella vuota stanza» della sua e altrui intimità. Will, che appare a tutti come il classico «bravo ragazzo» cattolico, serio perfino nel portamento, viene dalla Virginia del Sud, si laurea nell’università dei gentlemen meridionali, Princeton, se lavora in un giardino è naturalmente sicuro che sia organico e quando il suo romanzo non brilla non rivela lo smacco interno, se pure c’è.

Il dialogo intimo dei due eroi sembra più platonico che altro, i tempi son cambiati, non si va a ballare a tarda notte ogni week end. E la vera, sottile, seduzione che Jack tenta nei confronti di Will è presentargli la bellissima, sexy e manipolatrice Alex, portare la coppia fino alle nozze, e poi, quando il tempo induce noia nella vuota stanza dell’intimità introdurre Pia nel cerchio. Pia, che come il cliché impone è per metà italiana, sarà l’amante sensuale di Will, surrogato dell’intimità irraggiungibile per il fauno Jack.

Edmund White conferma in Jack Holmes e il suo amico le virtù di narratore sofisticato, «witty» spiritoso nel dialogo tra erotismo sempre latente e spiritualità esorcizzata, cercando «l’anima nella carne», come ha scritto il critico Boyd Tonkin. Rispetto alla stagione del grande dolore, quando essere gay e scrittore sembrava doppia condanna, White introduce leggerezza, prosa frizzante, personaggi da rivista della domenica, mercanti d’arte, mondanità, week end di lusso. Ha perso forse profondità, dramma, coscienza. Come se la morte intravista così da vicino, per se stessi, il proprio lavoro e mondo, abbia pur non vincendo accecato. E la stanza dell’intimità, che da giovani si temeva vuota, ora si debba riempire di inutile ciarpame griffato pur di fingere che sia invece viva e piena di calore.