Spiace per la battaglia – spesso nobile – che in tanti fanno per ritornare alla privacy di un tempo, quando ciascun cittadino si sentiva Re in casa propria e leader, cardinali, uomini di potere erano schermati dal pubblico scrutinio.

Il mondo di oggi non va più così. I vecchi reporter narravano a noi ragazzi il caso della nobildonna assassinata dall’amante-autista, con l’aristocratica famiglia a chiamare in redazione intimando «Omettere il dettaglio dell’autista, per cortesia». Oggi i filmati finirebbero su YouTube dopo pochi minuti.
Inutile fingere: se il capo della Cia ed ex generale americano Petraeus vede pubblicizzate le email all’amante, come possiamo proteggerci noi, comuni cittadini? Ai tempi del Decamerone di Boccaccio le comunità erano chiuse e le avventure erotiche di duchi, prelati e dignitari erano a conoscenza di ogni servo della gleba ma nessuno si permetteva di discuterle. Oggi le nostre sono metropoli senza comunità, non conosciamo il vicino di casa, né chi occupa, per uno stage precario, il cubicolo accanto al nostro ma possiamo riprendere tutto con telefonini, microcamere e tablet.

Quando Jacqueline Kennedy Onassis era perseguitata dal paparazzo Ron Galella, il giudice impose al fotografo una certa distanza da mantenere rispetto alla ex First Lady. Lady Diana ebbe un più tormentato rapporto con la stampa, odiandola e usandola contro il marito e la Regina. Gary Hart, uno dei più intelligenti politici americani, perde la corsa alla Casa Bianca perché sfida i cronisti, negando il flirt con la sensuale modella Donna Rice. Lo aspettano in agguato e lo condannano all’addio alla politica. Nessuno fotografava il poliomielitico presidente Franklin Roosevelt, nessuno contava i bicchieri di cognac bevuti da un Churchill stressato durante la guerra, il suo capo di gabinetto, Lord Alanbrooke, lo descrive spesso «alticcio in riunione» nei Diari. Il presidente francese Mitterrand aveva una doppia vita familiare e una figlia segreta, Mazarine; per anni i reporter italiani politici erano consapevoli delle storie personali dei nostri leader, per esempio Bettino Craxi, ma era cultura condivisa non mescolare «Personale e politico».
Censura? Opportunismi? Tempi diversi, piuttosto. Anche avversari acerrimi di Craxi o del presidente americano Bush padre (che il «Washington Post», in un velato reportage, accusò di avere un’amante che viaggiava con lui tornando dall’estero avvolta in pellicce senza passare dalla dogana), ritenevano che i fatti privati non dovessero andare in pasto al pubblico. È la stagione della liberazione sessuale, con lo slogan «il personale è politico» che avvampa le assemblee a schiantare la privacy tradizionale. Rock Hudson poteva essere omosessuale nella Hollywood puritana senza che nessuno facesse «outing» violenti, oggi cadrebbe al primo appuntamento.

C’è nella storia del presidente francese François Hollande che va in motorino dalla presunta compagna, in segreto, qualcosa di struggente, romantico. Il leader capace di battere Sarkozy, fare il duro in Siria e con l’Iran, mobilitare le truppe in Africa come ai tempi della Legione Straniera, si illude di poter agire da parigino qualunque, andando con i croissant freschi dall’attrice Julie Gayet. Altro che metadati della Nsa, altro che Fbi contro Petraeus, l’orgoglioso capo socialista della fiera Francia sotto scacco per un paparazzo.
Sarebbe bello che la vicenda facesse scattare un moto di reazione nelle opinioni pubbliche: lasciateci giudicare i politici dai loro atti politici e che poi vivano la vita come meglio aggrada loro. Non sperateci. Nel saggio «Robot tra noi», appena pubblicato da Boringhieri, il professor Illah Reza Nourbakhsh assicura che minuscoli automi spia di ultima generazione, non più grandi di una mosca, seguiranno ciascuno di noi, lanciati da nemici, partner gelosi, datori di lavoro. La vecchia privacy è finita, non bastano a difenderci i cazzotti dell’attore Walter Chiari ai paparazzi di Via Veneto. Clinton 2014 non potrebbe più andare, da governatore dell’Arkansas, a incontrare l’amante Gennifer Flowers scortato dagli State Troopers in Harley Davidson. Facebook lo massacrerebbe.

La Corte Suprema degli Stati Uniti decise nella sua storica sentenza del 1964, «The New York Times versus Sullivan», che le «public figures», i personaggi pubblici, hanno una ridotta sfera di privacy rispetto ai normali cittadini. I protagonisti di spettacolo, politica, sport, devono attendersi l’attenzione dei media, decise la Corte. Ormai però siamo tutti, da Hollande al capufficio, «public figures», nessuno escluso. Ovunque andiamo, casco, moto e cornetti, lo saprà chi vuole. Aveva ragione il vecchio filosofo Adorno: un mondo illuminato dalla luce totale della trasparenza è davvero un mondo di buio pesto.