“Stiamo costruendo le nostre vite intorno alle nostre reti cablate e wireless. La domanda è: siamo pronti a lavorare insieme per difenderle?”. È con questo quesito che si apre la sezione del sito dell’Fbi dedicata al Cyber Crime. Ed è con questo stesso interrogativo che ci si può rendere conto di cosa ci sia in gioco quando si parla del rapporto tra internet e terrorismo.

Dopo la tragedia avvenuta all’interno della redazione di Charlie Hebdo molti eventi delle scorse settimane stanno confermando che la lotta al terrorismo contempla confini fisici ma anche digitali. Si conferma, ancora una volta, che anche per il Web - apparente prateria sconfinata delle libertà - forse non vale tutto. Anzi. Forse è giunto il momento nel quale tali libertà vengano controllate, proprio perché possano essere complete, autentiche, ancora più reali.

Dopo il duro attacco di alcuni esponenti di Isis contro Twitter (e, in particolare, contro il suo fondatore Jack Dorsey) lo stesso sito di microblogging ha eliminato più di duemila account di sostenitori del califfato (o presunti tali) in una settimana. E anche Facebook si sta mobilitando proprio in questo ultimo periodo contro tutti gli atteggiamenti violenti che possono essere veicolati con estrema facilità, in modo da prevenire capillarità delle stesse violenze o attacchi.

È notizia di questi ultimi mesi l’istituzione di una commissione di studio (voluta fortemente dalla presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini) con lo scopo di redigere una Dichiarazione dei diritti in Internet. Un punto in avanti verso quello di cui abbiamo scritto. Ma - come sottolinea Juan Carlos De Martin su La Stampa - “è necessario passare dal livello nazionale a quello internazionale”, coordinando i lavori sul tema che sono nati in mezza Europa (e non solo). 

Ancora una volta i confini digitali si rivelano particolarmente sensibili agli attacchi e richiedono una protezione che parta proprio dalla nostra potenziale forza maggiore: la libertà.