Gli economisti più titolati si dividono sul referendum in Grecia, i premi Nobel Krugman e Stiglitz sostengono il No, il greco Hatzis e l’anglo-russo Kaletsky sono persuasi che il Sì sia l’ancora di salvezza, Martin Wolf del «Financial Times» critica il «sinistrismo idiota» di Tsipras come l’«ipocrisia dell’eurozona».

Sulla scheda gli elettori greci, dopo una settimana passata alla caccia dei 60 euro spremuti dai Bancomat, trovano una domanda sul Sì o No al piano europeo, complesso dossier dal linguaggio accademico burocratico, che nessuno comprende e che adesso non ha valore, perché ritirato da Europa, Fmi, Bce.

Si vota su un miraggio, Europa Alice nel Paese delle Meraviglie. In realtà, come ha detto con franchezza il ministro delle Finanze Varoufakis, è un referendum sull’euro: Atene ama la divisa comune più di quanto detesta l’austerità? Varoufakis è un esperto di teoria dei giochi, ma ha scambiato la crisi del debito per un gioco complesso, gli scacchi o il bridge, mentre – osserva Kaletsky - è il semplice Tris che si giocava con O e X a scuola, facile ottenere un pareggio, ma un solo errore implica sconfitta certa. Varoufakis e Tsipras l’hanno commesso.

Perché giudicare la scelta greca tra restare o no in Europa come valutazione oggettiva tra bilanci, debiti, investimenti, bailout, default, bancarotta, crescita o speculazione, è colto ma ingenuo. Propendo a credere che la dracma non salverà, con esangui esportazioni, Atene, la classe dirigente greca è stata capace di portare il Paese alla bancarotta con l’Europa a vigilare (faccio per dire, purtroppo) figuriamoci cosa inventerà stampando moneta, e corruzione, in libertà. Ha ragione Wolf a castigare la mancanza di leadership dell’Europa in questi anni, ma in extremis va dato atto alla cancelliera Merkel di aver trattenuto come poteva un’opinione pubblica ostile, a Draghi di avere teso la mano a Tsipras fino all’ultimo, a Hollande e Renzi di aver provato a difendere con amicizia i greci davanti a tedeschi e europei del Nord, per vedersi infine abbandonati dal premier di Syriza. Che sembra sognare il Venezuela al Pireo, non combattendo l’austerity, ma il mercato, non le sanzioni a Mosca, ma l’Alleanza Atlantica.

Ora la posta è grave e il gioco fatale. Gli errori greci e la burocrazia senza passione alla Juncker hanno condotto a una roulette russa in cui non si decide tra euro, austerità, volantini da stalinismo vintage contro website liberisti. I 9.808.760 elettori greci voteranno Sì o No all’euro ma anche all’Europa, a un mondo di liberi viaggi e scambi, cultura, Sì o No alla Nato, alle alleanze strategiche nel Mediterraneo, davanti a Medio Oriente e Asia, alla frontiera cruciale condivisa da cattolici, ortodossi, islamici, ebrei. La nazione che ha dato vita all’idea di Occidente decide, in un senso tragico e irreversibile, se uscire dall’orizzonte occidentale.

Gronda in questi giorni retorica insopportabile sulla Grecia «culla della democrazia» e davvero Tsipras e Varoufakis sono scaduti nella demagogia con i continui ritornelli. Le glorie di Pericle e dei poeti tragici sono, ahinoi, lontane, i cinici potrebbero ricordare la guerra civile dopo il 1945, la dittatura dei colonnelli caduta solo nel 1974, gli irridenti perfino il processo «democratico» che vota a maggioranza la morte di Socrate «l’uomo più giusto» secondo Platone. Ma il passato non c’entra nulla, in bene o in male, i musei non salvano mai dai fantasmi del futuro, i soli capaci davvero di divorarci. Nel Mediterraneo oggi si combatte una jihad feroce, e la Tunisia è solo il più recente, non certo l’ultimo, teatro di una guerra che trasforma le spiagge in campi di battaglia. All’Est l’Ucraina e la Polonia si riarmano temendo l’offensiva russa, come a Nord Svezia e Paesi Baltici. Putin sa che gli europei sono stanchi di sanzioni e schiera nuovi missili nucleari per spaventarli. Dal fronte Sud-Ovest in Grecia, come a Sud-Est in Italia e Spagna accorrono in Europa gli emigranti, e per una generazione la loro fila sarà infinita: o crediamo davvero nella tolleranza zero dell’Australia, circondata dall’impassabile Oceano Pacifico?

Per questo i greci non decidono tra euro o dracma, un Paese che ha il volume economico di una sola regione del nostro Nord, poco in fondo conta nel bilancio Ue. Né è in ballo la vanità garrula di Varoufakis contro il rigore malinconico di Schaüble. Se la Grecia diventa uno Stato fallito, il primo in Europa, se i giovani migliori la lasciano emigrando, se gli stalinisti che militano in Syriza e i nazisti di Alba Dorata, domenica alleati del No al referendum, 70 anni fa in guerra mortale, tornano ad odiarsi, se i militari ripensano alle tentazioni autoritarie, i mille spettri di terrorismo, finanza corrotta, criminalità organizzate, racket, fanno di Atene la loro città aperta, Beirut 1976 sull’Egeo, il dramma è maggiore di quel che immaginiamo. La vittoria del Sì aprirebbe la strada a una meno irrazionale politica greca e va sostenuta ed auspicata, ma se anche Tsipras dovesse emergere premier da questa sua follia, forse Merkel, Draghi, Hollande, Cameron, Renzi e i loro colleghi – magari sostenuti con un minimo di energia da Obama - dovranno assumersi ancora una responsabilità per evitare che, davvero come in una tragedia classica, suicidandosi i greci infliggano una ferita mortale anche al sogno, un tempo così condiviso, di progresso, democrazia, eterno benessere nella pace degli europei.