Tra tutti i dati che le analisi macroeconomiche offrono al dibattito sull’andamento dell’economia globale, quello relat­­­­ivo ai salari sta riscontrando un crescente interesse tra i commentatori. Nelle economie sviluppate il salario è la fonte principale di reddito per la maggioranza delle famiglie, il che lo rende uno dei fattore chiave per il rischio deflazione. Per questo il report dell’ILO dedicato all’andamento mondiale dei salari (Global Wage Report 2014/2015), costituisce un documento importante per chi vede nella loro gestione una leva privilegiata per le politiche economiche. 

Secondo i dati dell’ILO, i salari reali medi mensili sono globalmente diminuiti tra il 2007 e il 2008, sono tornati a crescere sino al 2010 per poi tornare a rallentare la loro salita fino al 2013 e comunque senza raggiungere i livelli precedenti la crisi.

 

 

Il rapporto ILO ha anche il merito di dedicare attenzione a un fattore piuttosto trascuratonel dibattito pubblico sulle riforme del mercato del lavoro, ossia il rapporto tra salari e produttività. Nonostante gli economisti siano generalmente concordi nell’auspicare un loro allineamento, il report dell’ILO indica che a livello mondiale aggregato i salar medi sono cresciuti più della produttività. Cio dipende però dal contributo delle economie emergenti e in via di sviluppo (Cina e India soprattutto), perché considerando solo le economie sviluppate, si osserva come dal 1999 al 2013, soprattutto grazie a Germania, Stati Uniti e Giappone, la produttività del lavoro sia cresciuta di più dei salari medi, determinando una contrazione dei redditi e quindi la stagnazione della domanda.

Il confronto tra economie sviluppate ed economie emergenti conferma quindi che i livelli salariali di entrambe si stanno riavvicinando, tanto da condurre da tempo alcuni gruppi di studio a prevedere che nell’arco di pochi anni si eroderà completamente il vantaggio accumulato dalle aziende occidentali che scelgono di produrre in Paesi dove il costo del lavoro è conveniente. Anche per questo il Boston Consulting Group e il Keybridge Research di Washington hanno parlato di una "reindustrializzazione americana"

Tuttavia ciò non deve però far pensare a un’evoluzione verso livelli di equità diffusi. Se le disparità diminuiscono a livello globale, aumentano invece le differenze a livello locale, con dinamiche dalle caratteristiche comuni tra economie sviluppate ed emergenti.

Per questo il rapporto auspica un solido coordinamento tra le politiche nazionali confidando nelle misure fiscali di redistribuzione del reddito, nell’introduzione di salari minimi per via legale, e nella contrattazione collettiva.

Infine, riconoscendo la perdita di posti di lavoro come fattore che contribuisce all’aumento delle disparità, il documento sottolinea la necessità di promuovere l’occupazione  attraverso l’incentivazione della produttività e dell’innovazione. La mente degli italiani non può qui che dirigersi alle misure adottate dal Governo con la recente riforma del lavoro e la Legge di Stabilità; provvedimenti per i quali si è auspicato una maggiore considerazione per la contrattazione di produttività e il sostegno alla ricerca.

Nonostante quest’ultima attenzione, per tradizione e coerenza rispetto alla sua mission l’ILO si concentra soprattutto su quelle disuguaglianze definite “inspiegabili”, dovute cioè a caratteristiche del capitale umano che non dovrebbero incidere sulle retribuzioni, ad esempio il genere o il fatto di avere figli.

Concentriamoci però su quelle disparità "spiegabili" che risiedono nelle caratteristiche osservabili del capitale umano. Diverse analisi anno ormai dimostrato come le differenze di salario interne alle economie sviluppate siano interpretabili in termini di carenza di investimenti in ricerca e sviluppo, e di mismatch  tra domanda e offerta di lavoro. Il problematico rapporto tra innovazione, ricerca e formazione è ormai un tema assodato in Italia. I dati sulla spesa in R&D collocano il nostro paese all’ultimo posto tra le economie sviluppate europee. Un recente studio della Banca D’Italia ha poi riconosciuto che la difficoltà delle imprese italiane ad adottare nuove tecnologie è data dalla mancanza di adeguate competenze che le sappiano gestire. Secondo una ricerca Almalaurea inoltre, dall’inizio della crisi sarebbe raddoppiato il tasso di disoccupazione tra i neolaureati e solo il 30% dei diciannovenni si iscriverebbe a un corso universitario. Tra gli adulti le cose non vanno meglio se, come rilevato dall’OECD, la percentuale di laureati in Italia è sensibilmentre più bassa rispetto agli altri Paesi.

 

Stat link: http://dx.doi.org/10.1787/888933114951

Sorprendentemente però il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro costituisce un problema anche per le economie sviluppate trainate dall’innovazione, come gli Stati Uniti. E’ un argomento divulgato anche da Moretti nel suo best seller La nuova geografia del lavoro: nell’economia americana le disparità di redito non sono aumentate solo tra i gruppi con diverso grado di istruzione, ma anche al loro interno.  Ciò non è dovuto né alle politiche economiche regressive, né alla contrazione dei salari minimi; non si spiega con l’indebolimento dei sindacati, né con la pluri-incriminata deregolamentazione. La differenza di salari si spiega piuttosto con lo squilibrio tra la domanda e l’offerta di lavoro altamente qualificato. Dulcis in fundo: legato al problema quantitativo, c’è anche quello qualitativo. Anche in America per le imprese dell’innovazione sta diventando sempre più difficile trovare lavoratori con le competenze adeguate. Tutto ciò secondo l’economista Hackman troverebbe origine nel grave problema dell’abbandono scolastico, problema che può quindi a buon diritto essere aggiunto agli ambiti di intervento politico auspicati nel rapporto dell’ILO. 

Si tratta di un tema che nell’attualità nazionale suggerisce di cercare soluzioni per il futuro dell’economia non soltanto nell’ambito del Jobs Act e della Legge di Stabilità, bensì anche e soprattutto in quello de #LaBuonaScuola. Secondo il Presidente Renzi su di essa si sarebbe appena conclusa la più grande consultazione pubblica d’Europa. Se persino l’avanzata economia USA si pone il problema delle transizioni scuola-lavoro, indipendentemente dall’efficacia delle scelte del Governo si capisce quanto l’enfasi di Renzi sia un’enfasi oggettivamente necessaria.