La crisi economica condiziona le nostre vite, senza confini. Il match di ieri in Grecia, che è andato a vantaggio dei conservatori di Nuova democrazia di Samaras con la sconfitta della sinistra Syriza del vulcanico ex comunista Tsipras, è stato atteso con ansia ad Atene come alla Casa Bianca, Cremlino, Pechino. La crisi ci ha reso cittadini di una sola megalopoli, Terra. Forse giusto la Seconda guerra mondiale ha avuto un tale impatto e, come per la guerra che inizia in Germania e Inghilterra nel 1939, in Italia e Grecia nel ‘40, per Russia e America nel ‘41 ma in Cina e Giappone già nel 1931, anche la crisi non ha data condivisa d’inizio. Parte dallo scoppio della bolla immobiliare in America, metà 2006, o nel 2007 con la crisi di liquidità delle banche? O il giorno nero è la bancarotta Lehman Brothers 2008? O la scoperta dei falsi in bilancio greci coperti anche da speculatori tedeschi? Ho posto la domanda su twitter @riotta c’è chi anticipa alla bolla web, chi alle liberalizzazioni del presidente Clinton.
Né c’è consenso sui «colpevoli», chi accusa Wall Street rapace, chi gli Stati che impediscono libertà ai mercati, chi le oligarchie corrotte.
Chi gli elettori greci, spagnoli, italiani indifferenti al debito e golosi di pensioni. Ci manca la comune sceneggiatura del film «La Grande Crisi», ci sono eroi e cattivi, o è uno spaghetti western come «Django», l’ultima pellicola di Quentin Tarantino, solo cattivi? È facile, in attesa del voto greco e alla vigilia delle elezioni Usa 2012 e Germania-Italia 2013, deprecare l’attendismo di Merkel, la condotta gregaria degli altri leader europei, gli algidi calcoli di Obama, il nazionalismo di Putin, la burocrazia cinese, lo scialo dei socialisti del Pasok, gli slogan di Tsipras «Oggi comincia una nuova era!». Ma immaginatevi al loro posto, decisi a far «la cosa giusta» contro la crisi. Riunite i consiglieri, convocate i migliori cervelli economici, studiate Wolf, Naim, Krugman e Emmott: e poi cosa decidete?
Sentirete solo opinioni colte, tagliare spesa e liquidità rischia di farci riprecipitare in recessione come F.D. Roosevelt quando, scampato il 1929, chiude troppo presto i rubinetti di Washington e deve attendere la guerra perché l’America ritorni a crescere. Oppure vi suggeriranno di tagliare spese, tasse e regole sul mercato: è la scommessa del repubblicano Romney contro Obama, meno Welfare e conferma delle agevolazioni fiscali di G.W. Bush. Hollande aggiorna la socialdemocrazia, nuovi posti di lavoro pubblici. Attenti, ribattono l’economista Rajan e il demografo Goldstone, non ci sono più abbastanza lavoratori per reggere pensionati e Welfare. In America, ogni giorno, vanno in pensione 40.000 figli del baby boom 1946-1964 e, con i populisti all’attacco, Tea Party, Le Pen, Alba Dorata non sarà certo l’emigrazione a sostenere la previdenza. Anche a sinistra Beppe Grillo fiuta l’aria con sagacia e si oppone alla cittadinanza per gli stranieri.
E allora? Sul Journal of Economic Literature Andrew Lo, studioso del Mit, online http://bit.ly/ IZc6NQ raccoglie tutte le ipotesi, i saggi, i libri, le teorie finora elaborate sulla crisi, calcola torti e ragioni cercando vie d’uscita al labirinto in cui ci dibattiamo. Non ne trova: perfino la Commissione d’inchiesta americana bipartisan, Financial Crisis Inquiry Commission, con poteri giudiziari, 18 mesi di studio, 700 esperti, 19 giorni di dibattito pubblico, si divide davanti al Rapporto finale e i dieci commissari partoriscono tre, opposte, conclusioni. Il professor Lo cita la mancanza di trasparenza che induce la crisi, le ingenuità e avidità che travolgono grandi della finanza e piccoli risparmiatori, si chiede perché Europa continentale, Asia e America Latina, siano rimaste subalterne almodello, dominante, dell’«anglosfera » a cui, pur deprecandolo, finiscono per dare ascolto in Borsa. Perché, se la crisi era «prevedibilissima»come insiste Nouriel Roubini, nessuno l’ha anticipata? Lo speculatore Paulson scommette contro la bolla immobiliare Usa 2007 e intasca $ 4 miliardi (€3,1 miliardi): ma perché lui solo, pur disponendo delle stesse informazioni di tutti noi? Nel saggio «The big short» Michael Lewis (l’analista che ha ispirato il film «Moneyball») calcola che solo una ventina di operatori abbiano agito come Paulson, gli altri hanno seguito, conformisti, il mercato: perché?
Applicate il rasoio del professor Lo al referendumEuro- Dracma in Grecia, con elettori confusi dal bisogno, dagli slogan, dal risentimento: i conservatori di Nuova Democrazia hanno scommesso che il sì all’euro non farà scoppiare tensioni sociali nel paese impoverito e che l’economia ripartirà infine; la sinistra del vulcanico Tsipras ha giocato sul no alla Merkel e il ritorno alla spesa, persuasa che alla Grecia non servano riforme e basti la - pur indispensabile - lotta alla corruzione.
Chi ha ragione? Esperti e politici sono confusi dall’opacità della crisi, né più né meno di tutti noi ed è quindi comprensibile la divisione in Grecia. Gli strumenti teorici del Novecento, lord Keynes o Hayek, non misura più la globalità, il mercato elettronico non dà requie, ubiquo, insonne. I nuovi media e le Borse trattano e mischiano 24 ore al giorno idee e cifre, umori politici e di investitori, in quello che nel Medio Evo si chiamava «palaver», frenetica lingua franca universale che spaventa, illude, amareggia e nella cui sintassi verità e menzognasi confondono.
Ci vorrebbe dunque, rara merce, una dose robusta di umiltà. Troppi studiosi scadono invece in toni da propaganda, che il Web rilancia e radicalizza, ma purtroppo «La propaganda comincia dove finisce il dialogo» come ammoniva il saggio Ennio Flaiano. Troppi politici, terrorizzati dal caos, si irrigidiscono, accusano gli «Altri», i Paesi indebitati per la Merkel, l’Europa per Obama, la Merkel per Hollande, l’Ue o gli armatori per i greci. Gli elettori, in Europa e in America, dimenticano l’entusiasmo con cui hanno approvato politiche di spesa, tasse basse o evasione fiscale, privilegi, modello economico e sociale non più sostenibile. Gli imprenditori soffrono di amnesia sulle passate stagioni di poca innovazione e mercati protetti, i sindacati sulle tutele a occupati e pensionati a scapito di giovani, donne e disoccupati.
Nella Babele delle teorie, con la polemica a mascherare la carenza di analisi raziocinanti, la corruzione diventa così il Grande Alibi, unita da noi alla polemica, sacrosanta, sui «Costi della politica». Innovare, riformare, puntare su spesa e Welfare, mercato e competizione, senza rigidità, varare riforme di struttura, tutto cede all’urlio anti-corruzione. Purtroppo, se con la bacchetta di Harry Potter azzerassimo all’istante corruzione e costi della politica i guai della crisi, globale, europea e italiana, ci resterebbero addosso, intatti.
Lotta quindi alla corruzione e bisturi sì sulla spesa politica. Ma la classe dirigente italiana e gli elettori, in vista delle elezioni 2013 che si annunciano storiche ancor più delle greche di ieri, riflettano: voteremo accontentandoci dell’acre soddisfazione di «Mandar tutti a casa!», o ragioneremo sull’intrattabile crisi del XXI secolo, cercando insieme, ciascuno con le proprie idee, di impedire che la nostra casa comune, la Repubblica, crolli impoverita, ridotta, allora sì davvero, a terra di conquista per corrotti, populisti e populisti corrotti?