David Weinberger Tecnologo della comunicazione, è fellow del Berkman Center for Internet and Society alla Harvard Law School e codirettore dell’Harvard Library Innovation Lab. Senior Internet Advisor durante la nomination di Dean al Partito Democratico

 

«Da ragazzo ero un hippie, colmo di speranze, presto deluse, per il futuro dell’umanità. Studiando la nascita del web ho ritrovato entusiasmo per un mondo solidale e oggi invece vedo incombere l’ombra di Donald Trump, il fascismo in America»: David Weinberger, nato nel 1950, studioso di tecnologia e società a Harvard - «ma mi son laureato sull’esistenzialismo di Heidegger» sorride - non intende «rinunciare all’ottimismo, negli anni del Movimento abbiam fallito, non falliremo una seconda volta!».

Weinberger è a Venezia per il seminario Aspen Institute sui Big Data, le informazioni, digitali e no, che mutano cultura, business e politica nel XXI secolo, e, davanti a un’«ombra de vin» - «Scelga lei, non ci capisco nulla» -, riparte dal suo celebre saggio «La stanza intelligente» (Codice edizione) per riflettere sul futuro. Ne «La stanza intelligente» Weinberger proponeva l’utopia di una rete dove il cervello collettivo dell’informazione online è «superiore» a quello dei singoli utenti. La carica di Trump, on e offline, lo lascia scettico su questa «saggezza digitale»? Weimberger sorride, sgrana gli occhi dietro le lenti: «Comprendo che Trump metta il dubbio. Ma analizziamo le ragioni del suo successo. Non credo si tratti solo di economia, il ceto medio e gli operai delusi. Vedo invece il razzismo contro il presidente Obama come radice profonda, che dalla rete conservatrice Fox News è distillato, dai Tea Party diffuso nelle città e nelle chiese, e che, nei talk show e sul web, Trump fa deflagrare, grezzo, violento, micidiale. Trump non nasconde più il risentimento contro il primo presidente afroamericano, gli emigranti ispanici, i musulmani, lo riporta al centro del discorso politico. È orribile ma funziona».

Secondo Weinberger, Trump è la nemesi della politica: «Guardi come importa il linguaggio sincopato di twitter, 140 caratteri, in tv e nei comizi. Ha trasformato il dibattito delle idee in etichettatrice di insulti, “Jeb Bush a bassa energia”, “Ted Cruz il Bugiardone”, “Hillary la Corrottona”, crudele ed efficiente. Per la Clinton sarà durissima reimporre un dibattito razionale, gli americani che non la amano, repubblicani o democratici, trovano il “tweet” ubiquo di Trump indimenticabile: “Corrottona”».

Weinberger non è preoccupato dall’accumulo dei Big Data, neppure dopo le rivelazioni dell’ex agente Nsa Snowden sul controllo informatico globale. «Sono americano, ho un concetto di privacy diverso dagli europei, va bene che lo Stato accumuli dati, purché li usi in modo legittimo, trasparente. Non sono spaventato, anzi anche sui dati muovo dall’ottimismo, il loro studio e la loro diffusione ci permetteranno di governare e vivere meglio. Un controllo centrale è impossibile, siamo contro la repressione del libero pensiero ma per reprimere il terrorismo, no? Solo che online queste distinzioni sono sottili, gli Uiguri, minoranza musulmana in Cina, sono popolo oppresso o nascondono una rete di attentatori come predica il governo locale? Un tema difficile, che le regole non eliminano, anche in Europa se ne accorgeranno presto». 

Utopista web, Weinberger non ammaina bandiera: «Vero, gli algoritmi ricacciano me tra i liberal progressisti, mentre le folle di Trump si raccolgono in forum che raggiungo a fatica. Le “stanze” si allontanano tra loro, e al contrario di questo antico monastero veneziano dove conversiamo, non esistono corridoi per connettere le nostre celle di amanuensi digitali. Ma era così anche prima del web e di Trump. La conversazione sui giornali era più “intelligente” e dialogica, solo perché troppi ne erano esclusi con la loro rabbia, non li vedevamo e ci illudevamo non esistessero. Con il web li vediamo, Trump incluso: è un’amara, nuova, sapienza». A novembre sapremo se è davvero così.