In «Dalla Russia con amore», lo scrittore Ian Fleming immagina che la spia James Bond debba essere assassinata dall’intelligence sovietica, perché la colpa ricada poi su Londra e divida così il Paese. Andrà diversamente, la fiction ha regole meno feroci della realtà, dove gli effetti di una morte non sono mai controllabili dagli assassini al potere.   

Kim Jong-nam, fratellastro del dittatore nordcoreano Kim Jong-un, è stato ucciso all’aeroporto di Kuala Lumpur, sterminata metropoli malese, prima si diceva con aghi avvelenati, più tardi con un cencio impregnato di sostanze tossiche. Sicario, pare, una giovane donna (forse due secondo altre fonti) cui la polizia adesso dà – con modi non frenetici – la caccia. Kim aspettava l’aereo per Macao, l’ex colonia portoghese che ospita casinò, prostitute e l’antico seminario cattolico di San Giuseppe. Un tempo pareva che proprio Kim dovesse governare dopo il padre Kim Jong Il, ma poi il fratello ha prevalso e Kim aveva riparato tra Pechino e Macao, fonte di informazioni privilegiata per la Cina, la potenza protettrice di Pyongyang. A pochi giorni dal missile nordcoreano, testato mentre il neo presidente Trump provava a rammendare le relazioni con il premier giapponese Abe, la morte di Kim rimette l’area in confusione, e non si annuncia nessun lieto fine alla 007.  

Omicidi brutali
Se con il nucleare il regime minaccia l’America, questo omicidio brutale manda un segnale anche al presidente cinese Xi Jinping, che aveva già visto un suo altro uomo di fiducia, Jang Sung Taek, zio dei Kim, assassinato, stavolta col plotone di esecuzione. I sicari tornano dunque a far politica nell’era digitale, come la setta degli «Assassini», in Persia, ai tempi della Prima Crociata. I nordcoreani zittiscono amici e nemici senza scrupoli, e altri potenti ormai sanno che il sangue può scorrere impunito nel XXI secolo. 

 

Gli «amici» di Putin
La lista degli ex alleati, amici, confidenti del presidente russo Putin stroncati da morti violente e misteriose colma un’intera pagina di Wikipedia. Chi l’ha fatta franca finora, come l’ex industriale Khodorkovsky condannato a lunghi anni di galera, vive un’angosciosa routine: scorta, mai mangiare cibi non controllati, diffidare dagli estranei. Il polonio, con altri veleni testato su cavie umane nel carcere moscovita della Lubjanka già sotto Stalin, finì l’ex agente del Kgb Litvinenko nel 2006: una lista di collaboratori di Putin si stava rivoltando contro i suoi metodi – «un killer» lo hanno definito in diretta tv Usa alla Fox nei primi giorni della presidenza Trump – e uno dopo l’altro sono stati colpiti. Dei dissidenti uccisi, l’elenco è ancora aperto, dalla giornalista Anna Politkovskaja al carismatico ex leader politico Boris Nemtsov, freddato a pochi passi dal Cremlino. Il campione di scacchi Kasparov, avversario di Putin, vive la sua vita tra mille precauzioni. 

Foto dell’anno 2016 è stata giudicata l’istantanea di Burhan Ozbilici, dell’agenzia Ap, che ha colto il sicario Mevlut Altintas con la pistola ancora calda dopo aver abbattuto l’ambasciatore russo in Turchia, Andrey Karlov al grido di «Allah è Grande!».  

 Come i suoi fratelli assassini russi e nordcoreani, Altintas sapeva bene che la morte di Karlov non avrebbe rivoltato la Storia, al contrario degli agguati a Rabin, Sadat, Gandhi, Moro, M.L. King, Malcolm X, i Kennedy, l’arciduca Ferdinando. Ma sapeva che il panico virale dei new media porta il macabro messaggio lontano e a fondo.  E lo sa anche la donna, chiunque ella sia, che ha avvelenato Kim Jong-nam, habitué dei tavoli da gioco, fermato la prima volta in Giappone solo perché voleva andare a Disneyland con un falso passaporto. La regola dei cartoni animati Disney – eccezione, la mamma di Bambi – è che nessuno muoia mai per sempre. Forse per questo Kim voleva visitare Fantasyland, dopo esser nato nella terra degli Assassini, la cui regola ferrea torna a dominare in un tempo che sperammo, invano, gentile.