Renzi l’aveva detto durante l’ultima direzione del suo partito: “ho la responsabilità di non aver saputo comunicare la storicità del grande taglio del costo del lavoro” operato con gli sgravi contenuti nel decreto irpef emanato lo scorso maggio. Forse anche per questo durante la presentazione del Disegno di Legge di Stabilità 2015 il premier ha rilanciato il nuovo taglio di tasse sul lavoro come il vero protagonista della prima manovra finanziaria del suo governo.

La scelta di operare lo sgravio questa volta sul’irap, per un totale di 18 miliardi, è anche un indice del difficile equilibrio che Renzi intende continuare a perseguire nel rapporto con le diverse componenti del dialogo sociale, ancora ridotto a vie per lo più mediatiche nonostante la breve riapertura della Sala Verde.

Piuttosto che sull'articolo 18, di cui è pur tornato a promettere l'abolizione durante la conferenza stampa di mercoledì, Renzi ha sottolineato la scelta di aver puntato sui 18 miliardi di tagli di tasse, portando l’entità della manovra da 20 a 30 (e infine 36) miliardi. Senza dubbi di sorta sulla storicità dell'intervento.

Interpretando quella retorica già comparsa durante il meeting europeo sull’occupazione (le riforme avviate da questo Governo sarebbero le più ambiziose della storia postunitaria) il premier Italiano sembra ritenere che la modestia non paghi nello scenario internazionale. I retroscena raccontano di affermazioni secondo cui i governi precedenti “non hanno avuto il coraggio” di sfidare le indicazioni europee e “l’Europa non può farci niente, al massimo chiedere una correzione della manovra e valutare, ma solo ad aprile, l’apertura di una procedura di infrazione”. Una lettura compatibile con quanto prevedono i trattati e regolamenti comunitari, a tratti ambigui.

Differentemente dai quanto affermavano i primi rumors...

...a seguito della presentazione del testo del Disegno di Legge di Stabilità e del progetto di documento programmatico di bilancio le reazioni di carattere interazionale sono state poche. Eccezion fatta per quella dei mercati e per il “monito-reprise” di Angela Merkel ai Paesi che non intendono seguire interamente le procedure per il raggiungimento del pareggio di bilancio.

Gli elementi simbolico-strategici sono però alla stretta finale. Piuttosto, quali effetti avrà sullo sviluppo economico sull’occupazione l’intervento presentato mercoledì a Bruxelles?

La manovra contiene alcune disposizioni prevedibili, come la conferma del bonus energetico, del bonus ristrutturazioni, e del bonus “80 euro”. Tutte misure che hanno avuto sinora un impatto contenuto, ma che andranno rivalutate all’interno del “businness context” che le riforme renziane aspirano a realizzare.

Alla definizione di questo contesto dovrebbero contribuire le altre previsioni inserite nel disegno di legge.

Compare finalmente nel vocabolario dei testi del governo Renzi il termine “autonomi” con dispozioni per il regime agevolato. Dopo diverse e contraddittorie voci, il Tfr in busta paga è infine comparso nel testo, ma con brutte notizie al seguito: qualora la scelta del lavoratore fosse questa, il tfr sarebbe assoggettato alla tassazione ordinaria, ossia alla parte più alta dell’aliquota, mentre ora mantiene un’altro tipo di tassazione. Inoltre la scelta sarà irrevocabile fino al 2017. In queste condizioni difficile aspettarsi un significativo ricorso a questa possibilità. Ad abbandonarsi alla dietrologia politica, rivelerebbe più come occhiolino schiacciato a Landini: promotore originario della proposta, ora alquanto distante dalla passata sintonia con il premier.

La misura che più avrebbe dovuto aggradare i sindacati sarebbe dovuta essere la decontribuzione totale per i primi tre anni di contratto a tempo indeterminato per le nuove assunzioni. Previsione che apre a numerosi dubbi di legittimità rispetto alle normativa comunitaria in materia di aiuti di stato e che non può non ricordare il fallimento della logica degli incentivi, recentemente dimostrata anche da quelli voluti dal pacchetto Letta.

Il ddl definisce poi lo stanziamento del miliardo e mezzo per l’estensione degli ammortizzatori sociali, ma queste previsioni non sono servite a modificare le intenzioni della Cgil, che non ha cambiato idea nè sulla manifestazione prevista per il 25 ottobre, né sulla possibilità di uno sciopero generale.

L’interrogativo principale prima della pubblicazione del testo era però quello relativo al reperimento delle coperture. La vera chiave di volta della legge di stabilità presentata sono i tagli alla spesa, pur all’interno dell’aumento del deficit (11,5%). Una questione anche questa di credibilità di fronte all’Europa. Per valutare gli effetti sul fronte dell’occupazione, la “spending review” non può essere letta come mero “risparmio”, ma piuttosto come redistribuzione degli investimenti.

Quelli in ricerca e innovazione restano un punto tanto strategico e sollecitato quanto dolente, soprattutto quando si considerano i ritardi italiani nello sviluppo di infrastrutture digitali. Renzi al Digital Venice di Luglio aveva proposto di Escludere gli investimenti in infrastutture digitali dal Patto di stabilità. Ma nel disegno di legge di stabilità il sostegno al digitale non è certo marcato. È prevista la cessione di frequenze a favore del Supplemental Down Link; in altre parole una misura che potrebbe attirare gli investimenti delle imprese di servizi di comunicazione mobile. Ma non è chiaro se i proventi ottenuti dall’asta saranno destinati al settore del digitale.

Intanto l’Agenzia per l’Italia digitale si avvia faticosamente ad “entrare nella piena operatività”. Così ha detto di recente la direttrice Poggiani, aggiungendo che “Il tema è essenzialmente economico, perché non si tratta di digitalizzare i processi esistenti ma di svilupparne di nuovi “. Uno sviluppo che deve ancora attendere?