Il presidente Carlo Azeglio Ciampi toccò quota 86% nel gradimento dei cittadini, record impressionante che Giorgio Napolitano ha migliorato al 90%.

Il secondo mandato di Napolitano, pur nato in circostanze di feroce polarizzazione nel 2013, non ha impedito al presidente di lasciare due giorni fa con il conforto del 60% degli italiani: Barack Obama ha solo il 46% (in autunno il 39), Francois Hollande boccheggia al 15% (prima dell’attentato di Parigi), 13 a settembre.

I numeri parlano di due personalità che si son battute per unire il paese ma parlano anche di noi. Gli italiani vogliono rispettare il Quirinale perché, nel loro innato buonsenso, virtù che tanti difetti nazionali attenua, intuiscono come tra le faide della politica, l’egoismo della società civile, le carenze delle istituzioni e lo snobismo della cultura sia necessario un punto di equilibrio indifferente a cacofonia dei talk show, prime pagine ribalde, siti iracondi.

È possibile, questo gli elettori chiedono al premier Renzi, all’ex premier Berlusconi, al ministro Alfano, al segretario Salvini, al M5S di Grillo – i veri Grandi Elettori -, individuare una figura che rassicuri il paese, una bandiera resistente ai venti della discordia sul torrino del Quirinale?

Chi segue la corsa per mestiere dispera. I candidati con un passato «politico», l’ex presidente UE Prodi, l’ex premier Amato, l’ex presidente della Camera Casini, l’ex vicepresidente Veltroni, il sindaco Fassino, l’onorevole Mattarella, son denigrati dalle opposte fazioni, incapaci per rancore di valutarne in serenità successi e sconfitte. I «tecnici», il governatore Visco, il ministro Padoan, la giudice costituzionale Cartabia, vengono snobbati invece – senza che nessuno rilevi la pur palese contraddizione - perché freddi, distaccati, insensibili agli umori del momento.

Si invoca con nostalgia Sandro Pertini, «Presidente Partigiano» che animò perfino canzoni di successo, dimenticando come i «bene informati» lo disprezzassero, nel 1978, da pittoresco Re Travicello, che mai avrebbe dato fastidio ai potenti. La Storia è invece fantasiosa, Papa Giovanni XXIII e Pertini, oscuri traghettatori, innescano speranza, mutamento, crescita.

L’Italia è oggi, come pressoché tutte le democrazie mature, spaccata in Parlamento, scettica in economia, stressata da risentimenti populisti, sfiduciata sulla classe dirigente, paralizzata dall’astensionismo cronico. Non si vede, sulla carta, un Presidente con il carisma per unirla, confortarla, indirizzarla nelle sfide del XXI secolo. Neppure Pertini, Ciampi e Napolitano, al debutto al Quirinale, erano però accreditati dagli «esperti», diffidenti dell’inesperienza politica dell’ex governatore e della lunga carriera politica degli ex presidenti della Camera.

Pertini, Ciampi e Napolitano hanno invece sviluppato la migliore qualità possibile per un uomo di Stato, sempre apprezzata dagli storici, mai intuita dai queruli contemporanei: la capacità di maturare nell’incarico, abbandonando elementi della propria cultura e personalità che mal si attagliano alla nuova funzione, acquisendo conoscenze e linguaggi che permettano di parlare a comunità prima ostili. Pertini e Napolitano erano parlamentari del Partito Socialista e Comunista, Ciampi banchiere centrale. Ma i primi due seppero dare identità anche a chi mai aveva votato a sinistra, il terzo parlare di Patria a chi nulla sa di tasso di sconto e inflazione.

Se tra i 1009 elettori del prossimo Presidente della Repubblica italiana prevarrà questo spirito, sforzarsi di individuare una personalità non giudicandola dal passato ma dal possibile futuro, suo e del Paese, forse l’esito sarà positivo. Se infilziamo ogni candidato Presidente agli aghi del passato, come entomologi con le farfalle, prepariamo un mediocre esito a una lacerante elezione. Si tratta di intuire dove può andare il Presidente, come può evolvere, maturare, non solo da dove viene.

I lettori e le lettrici, a questo punto, sospireranno amari «Impossibile!», e le nostre recenti vicissitudini danno al pessimismo amarissimi riscontri. Ma, predica il teologo Bonhoeffer, «L’essenza dell’ottimismo è non curarsi del presente, esser fonte di ispirazione, vitalità, speranza dove gli altri si rassegnano: l’ottimismo ci fa tener alta la testa, rivendicando per noi stessi il futuro, senza abbandonarlo ai nostri nemici». In questo spirito, milioni di italiani perbene aspettano il loro nuovo grande, o la loro nuova grande, Presidente.