Sarà l’anno dei Big Data, i grandi dati, la mole immensa di informazioni, transazioni, acquisti, registri, che ciascuno di noi semina ogni giorno online. Parlando con gli amici su Facebook, seguendo la campagna elettorale su Twitter, facendo la spesa, a casa, in ufficio, lasciamo un segnale di noi, un dato. Ecco i Big Data, che hanno permesso al presidente Obama di rivincere la Casa Bianca, che danno a una compagnia aerea informazioni sui propri clienti, che informano del valore reale di un calciatore, di un parroco, di un prodotto. Immaginate la sterminata biblioteca di dati che il web custodisce mentre leggete queste righe: bene, nelle prossime 11 ore sarà raddoppiata, Internet si moltiplica per 14 ogni settimana. Chi controllerà i dati, come proteggere la privacy se ciascuno di noi li immette volontariamente nei social network? Sono preoccupazioni concrete, ma gli ecologisti, gli epidemiologi, i microbiologi analizzandoli possono salvare specie animali a rischio, curare malattie, vaccinare bambini. I dati e la teoria delle reti, come studiata da Albert-Làszlò Barabàsi, connettono politica, cultura, società a noi stessi, un uomo, una donna. Il secolo delle masse, il XX, lascia il posto al secolo delle persone, il XXI. Siamo tutti in reti globali, ma ciascuno ne è un nodo singolo, indipendente, orgoglioso. Per la Chiesa, i partiti, la scuola, le aziende tutto cambia: un giornale, una tv, un sito non si rivolgono più al «pubblico», ma studiando Big Data possono rivolgersi a ogni individuo, un singolo. I pessimisti pensano al Grande Fratello. Gli ottimisti delegano loro la democrazia digitale. Nella realtà saranno la vostra vita, e prima ne sarete padroni meglio sarà.