Se oggi vi collegherete con Internet per una ricerca Google, le email, il vostro blog, non noterete nulla di diverso da ieri. Eppure, sabato primo ottobre nasconde una rivoluzione sul web.  

Per la prima volta dal 1984 il governo degli Stati Uniti - Barack Obama in persona, secondo i polemisti online- cede il controllo parziale del sistema di governo della rete, gli indirizzi dei siti, la posta elettronica, i cartelli direzionali dell’autostrada web che permettono agli utenti di orientarsi tra sito della Parrocchia, del Comune, elenchi di escort ed Enciclopedia Britannica. 

Dal 1998 gli americani incaricavano un’oscura agenzia legata al Dipartimento del Commercio, Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, Icann, di tracciare «l’elenco telefonico del web», assegnando i suffissi dei siti, .com, .it, .org e dirimendo quale Paese governa certi siti, se una categoria abbia, o no, diritto a domini online, se il porno o un ordine religioso possono gestire spazi autonomi. Pur criticata, per esempio sulla lentezza con cui ha liberalizzato gli accessi a domini non Usa, Icann ha però garantito piena libertà della rete, cresciuta da labirinto della Difesa e delle università americane, a citofono ubiquo del Condominio Terra. Da tempo Paesi e associazioni chiedevano a Icann di sganciarsi da Washington e diventare internazionale, la decisione è arrivata infine il primo ottobre.
Tutti felici per l’invisibile rivoluzione online? No. I critici temono che i Paesi autoritari, Russia, Cina, Iran, impongano il loro controllo sulla rete globale, allargando ovunque il pugno di ferro della repressione. In campagna elettorale per la Casa Bianca 2016 l’arcana vicenda si surriscalda, con il candidato repubblicano Trump a giurare che Obama stia svendendo Internet a russi e cinesi. A dargli man forte nel coro di demagoghi, l’ex rivale per la nomination senatore Ted Cruz, persuaso che l’intelligence di Putin e Xi Jinping metta le mani sul contenuto della rete, censurandola preventivamente. I ministri della Giustizia di Texas, Oklahoma, Arizona e Nevada, stati che voteranno Trump, provano a difendere Icann a stelle e strisce, sostenendo si metta a rischio altrimenti il dominio .gov, che ufficializza i siti dell’amministrazione Usa. Temono che sul prestigioso suffisso .gov metta le mani la fabbrica di trolls e falsi online che Vladimir Putin finanzia a San Pietroburgo, via Savushkina 55, ingannando cittadini ed elettori su mandato del Cremlino. 

Paure esagerate, complotti assurdi, propaganda rabbiosa osservano Tim Berners-Lee e Vint Cerf, padri del web per nulla intimoriti dal passaggio di consegne sui domini. Russia e Cina, semmai, avrebbero assegnato alle Nazioni Unite il controllo del web, per trasformarlo in burocrazia totale, con il Consiglio di Sicurezza a mettere il veto contro ogni protesta di dissidenti, tibetani, progressisti. Il compromesso Icann, che pian piano coinvolgerà nella gestione associazioni internazionali, studiosi, organismi di ricerca, era necessario per evitare la «balcanizzazione» del web, frantumato tra aree libere e no da una virtuale «Cortina di ferro». Che gli Usa restassero da soli al comando non era più sostenibile, ma malgrado il chiasso di Trump, i contenuti della rete non sono a rischio con Icann II. Quel che posterete resterà libero, e, purtroppo, quel che la censura colpiva ieri resterà al bando. 

Nessun problema dunque? Neppure, perché se gli Usa son stati padrini di manica larga del web, più attenti ai profitti delle aziende che non al controllo dei contenuti, la nuova fase non è priva di rischi. La Cina tiene il suo cosmo digitale sotto controllo, la Russia è leader tra i troll e i «leaks», la sottrazione di dossier poi smistati a individui e organizzazioni che, in nome della «trasparenza», finiscono per dare una mano all’intelligence del Cremlino. Nel 1980 il Nobel per la pace Sean McBride guidò la stesura di un rapporto internazionale Unesco contro l’influenza del libero mercato sui media, presto strumentalizzato in piattaforma di controllo sui giornalisti indipendenti, sostenuta dall’Unione Sovietica. Il web, per ora, resta al sicuro, ma la vigilanza deve tenersi alta per evitare che governi, monopoli, agenzie segrete di troll, finiscano per dominare, astuti e nascosti, il libero crocevia del nostro tempo.