Ogni venerdì, dal tabaccaio di New York La Concha, sulla VI Avenue, detta sulle guide Avenue of The Americas, perché agli angoli pendono gli stemmi di tutti gli stati americani, arriva il sigaraio cubano. È un omino piccolo, scuro in volto, molto simpatico, che apre in vetrina un suo minuscolo desco di legno, stende le foglie di tabacco, larghe, umide, aromatiche, e comincia a confezionare sigari. Con poche parole, narra la sua storia, nato a Cuba, poi emigrato come tanti dalla rivoluzione di Castro 1959, e ora sigaraio, usando tabacco coltivato nella Repubblica Dominicana “da semi cubani”. 

Lo guardo spesso, intento alla sua fatica, in una metropoli dove il sindaco businessman Bloomberg proibisce perfino di fumare nei parchi pubblici, con i clienti di La Concha addossati uno ad aspirare sigari come Carbonari ribelli. La leggenda ricorda le ragazze cubane che rollavano le foglie sulla coscia nuda, con un brivido di erotismo che glissava sulla fatica pesante delle operaie. Nella routine dell’artigiano rivedete quei gesti, le foglie interne che fanno da nucleo del sigaro, le più morbide e innervate a rifinire l’involucro. Il sigaro La Concha è più scuro di un cubano tradizionale, ma nel formato Robusto (cinque pollici, circa 15 centimetri) il solo che ormai a Manhattan possa fumarsi d’inverno senza gelare (un Robusto brucia per una trentina di minuti) è splendido. 

Ma a farmi ammirare il sigaraio cubano della Sesta Avenue non è il gusto per i “puros” i sigari cubani. È la sua strenua lotta per l’identità. Via dall’Avana, via da Cuba, perduti la barba e il basco trade mark alla Rivoluzione, è il sigaro “da semi cubani” il suo richiamo alla Patria. Patria o Muerte, Venceremos, Hasta la Victoria Siempre, gli slogan frusti della lontana utopia castrista, resi una maschera grottesca da decenni di repressione, carcere speciale, povertà, subalternità ai regimi peggiori, dall’Urss al Venezuela, prostituzione dilagante, si riscattano per lui nel fumo azzurrino di un sigaro. 

Non cubano no, che l’embargo imposto dal presidente John F. Kennedy nel 1962, non lo permette, né di contrabbando, come quelli che innumerevoli manager, diplomatici e politici “smuggle”, introducono di soppiatto negli Stati Uniti. No, un sigaro cubano “di seme”, di storia, tradizione, Dna, amore. I cubano-americani sono meno pronti di eredi di altre etnie a rivendicare il patrimonio passato, come se la trincea fosse sempre aperta sul mare azzurro tra Florida e Varadero, che i balseros, i dannati delle zattere sfidano, a rischio di squali, sognando l’asilo politico a Miami. I tedeschi sono fieri del generale Schwarzkopf, gli svedesi del senatore Mondale, gli italiani del governatore Cuomo, gli ebrei di Woody Allen, gli africani del jazz, da Armstrong a Marsalis, i Wasp del rigore di Bush padre, gli irlandesi del calore di Kennedy e Bush, i francesi del fascino della Jacqueline Kennedy Bouvier. Ma i cubani? Chi ricorda che il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, il re del cool Sammy Davis junior, le stelle dello spettacolo Gloria Estefan, Andy Garcia, Eva Mendes, Pitbull, Cameron Diaz, Desi Arnaz, l’asso del baseball Jose Canseco, hanno sangue cubano? Pochi. Sono i politici di nuova generazione, tra cui i repubblicani Ted Cruz e Marco Rubio (in odore di Casa Bianca) a rivendicare il Dna cubano, con lo stesso orgoglio con cui si accende un Cohiba o un Trinidad. 

Malgrado certi titoli enfatici e scorretti in Italia (ma che fine hanno fatto le scuole e i manuali del buon giornalismo?) l’embargo Usa non è caduto contro Cuba. Tocca al Congresso –a maggioranza repubblicana sia alla Camera che al Senato- eliminarlo, e l’azione del Presidente per ora apre solo la strada. Resta vietato portare sigari cubani da qualunque paese, se introducessi due Cohibas dall’Italia il doganiere potrebbe ancora sequestrarli. Per capire davvero cosa succede consultate il sito della rivista Cigar Aficionado www.cigaraficionado.com che ha parlato con gli esperti del Ministero del Tesoro: Obama permette di portare fino a 100 dollari in sigari a chi viaggia da Cuba agli Stati Uniti, ma poiché nessuna scatola da 25 sigari –confezione standard- ha quel prezzo, non resta che comprare sigari sfusi o del mercato nero, spesso falsi imbottiti di segatura o polveraccia di scarti di tabacco tritati. E allora? E allora fino a che la battaglia al Congresso non sarà conclusa con l’addio all’embargo, non resta che aspirare ai sigari La Concha da “semi cubani”, rollati dal sigaraio silenzioso, e fumati nell’ultimo parco di New York che ancora lo permette. Quale? Non posso dirlo in pubblico, in attesa del via libera a dei veri sigari cubani negli Usa scrivetemi www.riotta.it o twitter @riotta per l’indirizzo: El Pueblo Fumador Unido Jamás Será Vencido.