Un mondo in cui i robot lavorano, guaiscono come cuccioli domestici e si informano ogni giorno via internet sulle Borse. Parcheggiano per noi, guidano per noi, cucinano per noi. Combattono le nostre guerre, arrestano i ladri, insegnano a scuola, ci curano in ospedale. Quando entriamo in un negozio o al ristorante, sanno leggere il nostro sguardo, il linguaggio del corpo e, abbinandolo rapidamente ai Big Data sui nostri precedenti acquisti o alle scelte dal menu ricavate online, ci proiettano pubblicità di prodotti o piatti da consumare. Robot amanti, guardie del corpo, gladiatori negli stadi, scienziati, esploratori nello spazio e sottoterra.  

 Non sto per parlarvi dell’ennesimo romanzo o film di Fantascienza, il classico ciclo di «Guerre Stellari», quando i robottini petulanti salvavano i protagonisti o li cacciavano nei guai. No: il professor Illah Reza Nourbakhsh, autore del saggio Robot fra noi. Le creature intelligenti che stiamo per costruire tradotto ora in italiano da Bollati Boringhieri, non è un nuovo Asimov o Dick. È uno scienziato, docente di Robotica alla Carnegie Mellon University, dove dirige il «CREATE» Laboratorio di «Community Robotics, Education, and Technology Empowerment». E la sigla «CREATE» è perfetta, perché Nourbakhsh ritiene che i robot di nuova generazione altro non siano che una nuova specie «vivente», spesso dotati di attributi «biologici», ma come Moloch straordinari, o i «lavori in pelle» dei cloni di Blade runner, capaci di imprese a noi umani impossibili, dalla velocità, alla resistenza, all’intelligenza, alla cultura. Nessun critico letterario umano potrà mai leggere «tutti» i romanzi scritti da Petronio Arbitro a Calvino. Un robot sì. Nessuno scienziato può seguire «tutti» gli esperimenti del suo campo. Un robot sì. Nessun allenatore di calcio visionerà «tutte» le partite giocate nella storia e nel presente, per un robot è uno scherzo. 

 Nourbakhsh annota allora che la rivoluzione non è tecnologica, ma morale, culturale, politica. Quando i robot guideranno le auto – dal 2014 lo stato americano del Michigan autorizza già l’uso di auto comandate da software, purché «almeno un essere umano sia a bordo» - dovranno decidere, in caso di possibile collisione, se mettere l’incolumità dei passeggeri «padroni» davanti quella di un pedone o di un altro veicolo. Chi programmerà le decisioni etiche? Le case automobilistiche? I proprietari? Lo Stato? 

 Oggi il presidente Obama, come il suo predecessore Bush, combatte la guerra al terrorismo via robot aerei droni armati, guidati a distanza di due continenti e un oceano da informatici grazie a un joystick simile a quello dei videogiochi da bambini. Un video monitora la situazione, in una stanza chiusa ermeticamente l’operatore decide se vaporizzare le figure che intravede sfumate dai raggi infrarossi: Al Qaeda o pastori? Domani, argomenta il professor Nourbakhsh, sarà lo stesso drone guerriero a decidere se lanciare il missile, collegandosi con le banche dati e analizzando le informazioni in un nanosecondo.  

 Nourbakhsh è un ingegnere che ha costruito parecchi robot, il suo libro è fitto di aneddoti pittoreschi, come l’automa che gli sfugge di mano in strada, gira l’angolo scappando come Pinocchio, e mentre l’esterrefatto scienziato lo insegue, viene bloccato da una energica signora e da un tizio in cappellone da cowboy che lo stende a calci «Grazie a Dio sono ancora io il più forte tra noi due». 

 Non per molto. I robot, magari stampati in casa propria con printer a tre dimensioni, riempiranno i parchi di chiassosi automi meccanici, aeroplanini, finti cani, barchette, scontrandosi tra loro in un inquinamento fisico e spirituale. La nostra privacy, già rivoluzionata dallo scandalo metadati Nsa, sarà sconvolta da robottini minuscoli e fastidiosi come insetti, che spediremo a controllare il fidanzato, i figli, o i dipendenti in fabbrica (le pochissime dove gli automi non avranno licenziato gli operai). Naturalmente il fidanzato, il dipendente, il figlio, reagiranno, acquistando o creandosi in proprio, un loro robot-antirobot per combattere, oscurare, eludere il nostro guardiano meccanico. 

 Nourbakhsh ragiona su un mondo che nei laboratori, in campo di battaglia, nelle scuole e in tanti uffici è già realtà: scrive di ristoranti fast food che si attrezzano a riconoscere i clienti dalla targa dell’auto per prepararsi ad accoglierli. Il suo saggio – pur con il solito pizzico di enfasi che profuma le pagine dei tecnocrati, invano deprecato dal critico Morozov - va meditato. Appassiona, interessa, fa riflettere: noi umani, siamo per la prima volta nella nostra esistenza, «Creatori» di una specie «a nostra immagine e somiglianza». La morale con cui chiudete Robot tra noi è una lama di rasoio. I robot che popoleranno la Terra nel 2050 non testimonieranno solo l’anima di nostri figli elettronici. Proveranno soprattutto che razza di esseri siamo noi Umani, «Creatori» alle prime, ingenue e terribili, armi.