Donald Trump, palazzinaro di New York, domina la corsa del già aristocratico Grand Old Party repubblicano, umiliando l’erede di due presidenti, Jeb Bush, il paladino degli evangelici Cruz, la stella cubana Rubio.

A sorpresa, dietro di lui, si fa largo il moderato governatore dell’Ohio Kasich, pupillo del New York Times, che parla come Obama prima che la Casa Bianca gli facesse venire i capelli bianchi «Democratici o Repubblicani, siamo tutti Americani!». Tra i democratici l’anziano senatore socialista Bernie Sanders, che nelle foto in bianco e nero saluta a pugno chiuso, batte Hillary Clinton, stracciandola tra i giovani, le donne, i progressisti. In febbraio elezioni in Nevada e South Carolina, a marzo, appuntamenti al Sud e nell’arrugginita cintura industriale: Sanders, che celebrando la vittoria ha chiesto ai sostenitori di sottoscrivere per lui, ha più soldi in cassa dell’ex onnipotente Clinton, che per un discorso alla finanziaria Goldman Sachs otteneva 250.000 dollari. Una generazione fa, sotto Bush padre, al consigliere Lee Atwater, chitarrista blues morto giovane chiedendo «perdono ai nemici politici», bastava urlare negli spot l’insulto «liberal!», progressista, per sconfiggere i rivali. Ora Sanders e la Clinton si accapigliano su chi sia il vero «progressive», di sinistra, (è Bernie, la Hillary, come il marito Bill, è centrista moderata, la corrente che, dopo anni di sconfitte, riportò il partito alla vittoria).

Questa la cronaca, nuda, dopo il New Hampshire: ma, cari lettrici e lettori, come ricorda il guru del Washington Post e di Georgetown University E. J. Dionne, «Nessun esperto avrebbe previsto questa situazione un anno fa». La democrazia americana reagisce, viva e formidabile, allo stagno seguito alla crisi finanziaria e al regno di Amleto Obama. I numeri sull’occupazione Usa rendono gli europei verdi di invidia, Google e Facebook creano intelligenza artificiale, ma l’America si logora, perché ceto medio e operai perdono il benessere dei genitori. I millennials, figli della generazione baby boom 1946-1964, si incantano per l’accento operaio di Brooklyn di «Beiwnie» che promette «Tasse a Wall Street, sanità e scuola gratis, basta guerre» (senza dire come pagherà le riforme con le esangui casse del Tesoro) perché non riescono a studiare all’università, ottenere un mutuo per la casa o un affitto che non richieda sveglia all’alba per andare al lavoro in un cubicolo, licenziati al primo errore, mai promossi. L’epidemia di eroina che scuote il paradiso alpestre del New Hampshire e tanti altri stati, si nutre di questa angoscia, che tra i maschi bianchi over 50 fa diminuire, per la prima volta, perfino le speranze di vita.

Il manifesto di Trump sdegna. In America i neoconservatori, che invano sperano in Rubio, lo chiamano «fascista». In Europa i militanti Labour Party vogliono impedirgli l’accesso come lui propone per i musulmani in America. Ma la sua base è motivata, a destra, dallo stesso ribrezzo per lo status quo dell’1% dei ricchi, che a sinistra emoziona per Sanders. 

Hillary Clinton resta favorita. Gli elettori afroamericani e ispanici, che condividono la rabbia contro l’establishment ma si fidano ancora di democratici e sindacati a garanzia di welfare e salario, possono sgominare, al Sud, la rivolta di Sanders. Ma alla campagna dell’ex First Lady mancano passione e calore: potete scommettere su una Hillary dagli inediti toni populisti nelle prossime settimane. Tra i repubblicani confusione da campo di Agramante nell’Ariosto. Trump andrà fino in fondo, il partito non sa chi opporgli, il tecnocrate ex sindaco di New York Bloomberg pondera la candidatura da indipendente: sarebbe un colpo per Hillary e una speranza per i repubblicani, attraendo gli indipendenti.

L’America vota in questo grigio inverno ripiegata su se stessa, dimentica del mondo che le chiede leadership in Siria, con la Cina e la Russia, davanti alla inane Europa. Né Trump, né Sanders, hanno uno straccio di strategia, fuori da slogan truculenti e pacifismo alla Baci Perugina. La grande nazione si sente infelice, vuol cambiare e cambierà, la sua nuova anima, giovane, multietnica e impoverita ha fame di potere.