Mike Taylor, 59 anni, è un duro e suo figlio Peter, 26 anni, lo ammira da sempre. Anche Gregory McMichael, 64 anni, ha un passato da vero macho, e anche suo figlio Travis, 34 anni, è cresciuto nella sua ombra.

Le due coppie di padri e figli sono ora al centro della cronaca e della politica americana e le loro saghe familiari animano la campagna elettorale per la Casa Bianca 2020, i delicati rapporti internazionali tra Stati Uniti e il cruciale alleato Giappone, preoccupano il presidente Usa Donald Trump e il premier Shinzo Abe a Tokyo, mobilitando insieme comunità lontane, i militanti per i diritti civili in Georgia, lo stato dove il Nobel per la pace reverendo Martin Luther King riposa sotto il cippo marmoreo “Free at last”, finalmente libero, e la finanza mondiale, che segue il caso del magnate dell’auto Renault e Nissan Carlos Ghosn, di origine brasiliano-libanese, detenuto dalle autorità giapponesi in attesa di processo e fuggito a Beirut con una rocambolesca epopea di casse da strumenti musicali e aerei privati.

Nulla unisce, a prima vista, i due padri forti e i due figli fedeli, se non una remota cronaca della Guerra Civile americana 1861-1865, quando il colonnello di Boston Robert Gould Shawn, un patriota che credeva nell’uguaglianza tra bianchi e neri, persuase - a fatica - l’esercito nordista a lasciargli comandare truppe afroamericane. Anche tra gli Unionisti, che pure combattevano il Sud schiavista, i neri erano ritenuti pigri e vili, destinati solo a furerie e cucine, ma Gould guidò i soldati del 54esimo Massachusetts, primo reparto multietnico dell’esercito americano, all’assalto a Fort Wagner, in South Carolina, cadendo, a soli 25 anni, alla loro testa. Per sfregio, il generale sudista Hagood non restituì il corpo di Shawn, come si usava con gli ufficiali, ma lo fece seppellire in una fossa comune con i soldati neri. Il padre del colonnello, da Boston, reagì nobilmente “Non vorrei altra tomba per mio figlio che tra i suoi commilitoni, vera guardia d’onore”.

E qui i fili tra passato e presente, invisibili a prima vista, si fanno fitti e bizzarri. Da ragazzo ribelle il futuro martire Shawn si trovò a disagio perfino alla classica università di Harvard, che lo ricorda con una lapide nell’aula magna, e se ne andò a lavorare a Staten Island, popolare sobborgo di New York rifugio di tanti esuli, compresi gli italiani Antonio Meucci, inventore del telefono, e Giuseppe Garibaldi, che per campare fabbricavano candele. Da lì la guerra porta Shawn a Darien, in Georgia, una città sudista rasa al suolo per rappresaglia dai nordisti. Darien sorge a soli 10 chilometri da Brunswick, e da sempre le due città rivaleggiano con la vicina Savannah per potere politico ed economico.

Mike Taylor nasce proprio a Staten Island, seguendo poi il patrigno tra le fila dell’esercito federale, erede delle truppe di Shawn, finendo infine a vivere nella sua città, Boston. Gregory McMichael, invece, risiede a Brunswick, Georgia, in vista di Darien e delle isole Golden Island, dove gli eredi degli schiavi che Shawn voleva liberare parlano ancora l’ancestrale dialetto Gullah. Lì è stato girato “Glory”, il film sul colonnello progressista con Matthew Broderick e Denzel Washington, lì Tom Hanks ha interpretato le gesta di “Forrest Gump”. Il passato non vuole morire, sembra, e le cronache dei padri e dei figli dividono ancora America e mondo.

Mike Taylor e Peter Taylor sono stati infatti arrestati a Boston, città del colonnello Shawn, per aver organizzato l’evasione di Carlos Ghosn dal Giappone al Libano, e attendono adesso processo ed estradizione a Tokyo, dove rischiano fino a quattro anni di galera. Gregory McMichael e Travis McMichael sono a loro volta in cella e in attesa di processo a Brunswick, dove Shawn combatté, accusati di aver ucciso il giovane nero Ahmaud Arbery, 25 anni, colpevole di far jogging in un quartiere bianco. In entrambi i casi il padre organizza e comanda, il figlio lo segue passivo, senza opporsi. E anche questa gerarchia è iscritta nella storia, perché Mike Taylor è un ex Berretto Verde, le truppe speciali Usa celebri per il film “Green Berets” del 1968, con John Wayne e per la ballata del Sergente Barry Sadler, proprio con il padre caduto in battaglia che passa al figliolo il basco verde, mentre suo figlio Peter aveva come sogno solo produrre bibitoni per gli atleti, Vitamin1 li chiamava senza troppa fantasia, scegliendo come testimonial l’ex asso del football dei New England Patriots Rob Gronkowski. E se Gregory McMichael era considerato davvero un duro tra i poliziotti agli ordini dei pubblici ministeri di Brunswick, i detective mastino che l’accusa scatena contro gli imputati ai processi, suo figlio Travis, più modestamente, faceva la guida turistica tra le bellezze delle Golden Islands, portando in barca i visitatori.

Tra i Berretti Verdi Taylor aveva l’incarico più duro, per il quale a lungo si esercitò: in caso di guerra aperta con l’Unione Sovietica il suo reparto si sarebbe lanciato da quota altissima, per evadere i radar, sul Varco di Fulda, la zona dell’Assia da dove i tank dell’Armata Rossa sarebbero affluiti in Europa, aprendo i paracadute solo a poca distanza dal suolo. Qui avrebbero fatto detonare testate atomiche tattiche contro i nemici, in poche parole Taylor padre studiava da kamikaze. E lo spirito d’avventura gli rimane dentro a vita, forgiato dall’esperienza di consigliere militare dei cristiani maroniti a Beirut contro le milizie di Hezbollah, nel clima feroce del 1982, con l’invasione israeliana. Nel 1983 Taylor lascia l’esercito e ripone in bacheca il favoloso basco verde. Diventa un mercenario, guerriero al lavoro per chi gli paga il soldo di giornata. Studia arabo e incontra George Zayek, avventuriero libanese che sarà coinvolto nella fuga di Ghosn.
Taylor vive con la moglie Lamia Abboud ad Harvard, l’università del colonnello Shawn, allena la squadra del football del liceo di Lawrence, dove, obbediente alle urla del padre dalla panchina, gioca il figlio Peter. Ma guerra e intrighi dei suk a Beirut non sono scuola di sport, un ex atleta ricorda “Il mister Taylor ci spingeva come fossimo in battaglia” e presto le autorità cancellano due scudetti di Lawrence, ottenuti, pare, da Taylor con metodi illeciti, “footballopoli” a scuola. Si mette nei guai nascondendo marijuana nell’auto di una signora, in aiuto all’ex marito, suo cliente, impegnato in un difficile divorzio. La fa arrestare, ma viene scoperto e condannato. Lui preferisce ricordare i successi ottenuti con la liberazione della famiglia di Lucy Kolb Zantout, che provava a fuggire dal Libano, dove era oppressa dal marito manesco, e tornare in North Carolina. Un primo tentativo finisce a Damasco, Lucy e i tre figli rischiano la morte o il rimpatrio a Beirut. Arriva Taylor, con in tasca una parcella di 155.000 dollari del 1999, 250.000 euro di oggi, parla, minaccia, tratta, siede con guerriglieri armati fino ai denti e agenti segreti che hanno venduto di tutto, ottiene per la donna e i bambini una multa di soli 4 dollari e un volo per l’America. Un altro concittadino è liberato come eroe e Taylor si pavoneggia: non è stato forse lui ad essere ingaggiato addirittura dal New York Times quando l’inviato speciale David Rohde viene rapito in Afghanistan?

Kabul e Baghdad, Iraq, le capitali della guerra al terrorismo, la più lunga della storia americana, diventano casa per Taylor, tra un guaio e l’altro, accuse di racket, di corruzione, sempre gestite a testa alta, da duro. Finché non arriva l’affare della vita, provare a liberare Carlos Ghosn, che da re dell’auto è diventato galeotto, agli arresti domiciliari a Tokyo, in attesa di un umiliante processo e forse una condanna dura, dal mogano dei consigli d’amministrazione al tavolaccio della galera. E chi chiama Taylor padre in squadra? Come fossero ancora sui campi verdi del football a Lawrence, convoca Peter, è lui che consegna a Ghosn la chiave di una stanza d’albergo, prima tappa della grande fuga, poi 360 chilometri di alta velocità verso Osaka, Ghosn, senza troppe cerimonie, caricato in una cassa di solito usata per strumenti musicali come pianoforti, un aereo privato verso la Turchia, quindi finalmente Beirut e la libertà, costo dell’impresa forse 50 milioni di euro.

E Mike Taylor, da vero Berretto Verde stile John Wayne, non esita a vantarsi con i commilitoni del sito Connecting Vets: ”Non posso commentare sul caso Ghosn, ma la verità è che quel tizio era un ostaggio, tutto qui. Fosse saltato fuori dalla Corea del Nord o dalla Cina sarebbe tutta un’altra storia no?”. Vero, ma il businessman “è saltato fuori” dal Giappone e quindi Taylor padre e figlio sono stati arrestati a Boston, pare proprio mentre si apprestavano a scappare a loro volta a Beirut. Una foto riprende Mike Taylor, dritto come il commando che era, pettorali in vista sotto la polo, all’aeroporto di Istanbul, giusto il giorno del transito di Ghosn dentro la cassa e al processo sarà prova pesante. Trump deve resistere alle pressanti richieste di estradizione dei giapponesi, investitori di tanti paesi seguono attenti le cause per risarcimenti, il povero Peter Taylor vede i sogni di bevande per lo sport piegati dalla smania di avventure del padre.

Anche i sogni di Travis McMichael finiscono rovinati dalla foga paterna, anche la famiglia McMichael si vede trascinata nel mondo grande e terribile. Altro che bordeggiare in barca lungo le sinuose coste delle Golden Islands, magari rimorchiare una turista europea, virare, guardare tramonti e albe sulla riva verde. Tutto si eclissa il 23 febbraio, quando l’America comincia a specchiarsi nella tragedia coronavirus. Ahmaud Arbery, giovane nero, ex giocatore di football proprio come Travis Taylor, scarpe Nike ai piedi, qualche piccolo precedente penale alle spalle, si allena come ogni giorno. Stavolta però si inoltra nel quartiere bianco di Satilla Shores, dove in ogni casa c’è un’arma e a cena si chiacchiera spesso del “citizen’s arrest”, l’arcana legge locale che permette ai cittadini, in assenza della polizia, di trasformarsi in agenti e fermare chiunque, a loro giudizio, si macchi di un reato. Una pratica remota, inaugurata da Re Edoardo I in Inghilterra nel XIII secolo, ma che ancora insanguina il Sud degli Stati Uniti.

Nel 2012 l’adolescente Trayvon Martin venne ucciso in Florida dal vigilante bianco George Zimmerman, solo perché correva a casa con il cappuccio della felpa alzato, “avessi un figlio maschio sarebbe come Trayvon” commentò con il cuore spezzato il presidente Obama. E in Georgia, a Fayetteville, tocca nel 2019 a una donna, Hannah R. Payne, 22 anni, bianca, farsi braccio violento della legge. Hannah assiste a un banale incidente stradale, un parafango piegato, ma si inalbera nel vedere che l’automobilista che ritiene responsabile, Kenneth E. Herring, un meccanico di 62 anni che la domenica ama andare a messa con la cravatta decorata dalla scritta “BIBBIA”, si allontana tranquillo. Lo raggiunge, lo blocca con l’auto, apre la portiera sferrandogli un cazzotto in viso “Sono armata figlio di… esci subito” e mentre da un’auto della polizia, subito accorsa, un agente la implora, “Fermati!”, Hannah fredda spietata il povero Kenneth ed è ora in galera, in attesa di processo.

Il 23 febbraio Ahmaud Arbery corre per il sobborgo di Brunswick, quel Sud che il colonnello Shawn voleva liberare e che ancora libero del tutto non è. A una occhiuta vicina Ahmoud sembra troppo interessato a una casa vuota, tutti son nervosi per i furtarelli misteriosi dell’ultimo periodo, attribuiti dai bianchi giusto a un ragazzo nero, come Ahmaud. Il sospetto basta al padre duro, Gregory McMichael, nella sua vita da detective ha fatto condannare legioni di ragazzini neri, alcuni sono ancora dentro, arresto prima, poi si cercano le prove. Chiama il figlio Travis, si armano con un revolver 357 magnum e un fucile a canne mozze, saltano su un camioncino, urlano a Ahmaud “Stop, stop”. Ma la generazione di Ahmaud è cresciuta con l’incubo di Zimmerman che ammazza Trayvon Martin per malintesa voglia di giustizia che cela razzismo, e ha visto a ogni telegiornale le proteste del movimento Black Lives Matter: l’ex footballer non si ferma. Quel che segue diventa virale in un video raccolto da un altro abitante di Satilla Shores, a sua volta finito in cella, con i McMichael accusato di omicidio, Travis McMichael che lotta per un istante con Ahmaud, poi il colpo fatale.

Come per il caso Taylor-Ghosn il processo sarà lungo e difficile. Jason Vaughn, allenatore di Ahmoud al liceo pubblico di Brunswick, lamenta “Con ’sto maledetto virus non possiamo fare manifestazioni, picchetti, proteste, la polizia non ci lascia. Abbiamo aperto una pagina Facebook ma non basta”. E amici e colleghi, tutti bianchi, di McMichael padre, quando lavorava con l’ufficio del pubblico ministero, si schierano senza ritegno. Uno scoop di Richard Fausset, del New York Times, rivela che George E. Barnhill, procuratore distrettuale cui è stato affidato l’omicidio Ahmaud Arbery ha chiesto il proscioglimento per i McMichael giusto in nome del “citizen arrest”, la legge di Re Edoardo I importata nelle vecchie colonie.  
Lo scandalo è immediato, un magistrato inquirente che assolve l’ex collega poliziotto, conflitto di interesse eccessivo perfino in Georgia e il caso viene riassegnato, con il nuovo arresto dell’autore del video come complice. Ora la morte di Ahmaud Arbery entra nella campagna presidenziale 2020, i repubblicani di Trump a parlare di crimini delle minoranze e diritto costituzionale a avere pistole e fucili, i democratici di Joe Biden a difendere diritti civili e chiedere un più severo porto d’armi.

Il martirio del colonnello Shawn e dei suoi fantaccini neri del 54th Massachusetts, dalla Boston dei Taylor alla Georgia dei McMichael, non garantisce dunque ancora giustizia per tutti. E la storia di due famiglie, Padre duro e Figlio obbediente a seguirlo, diventa Storia.