Perché Papa Francesco e il presidente Hollande definiscono la strage di Parigi «Terza guerra mondiale» e «Atto di guerra?»  

L’attacco a Charlie Hebdo era legato alla cultura del terrorismo di al Qaeda, uomini addestrati in Yemen a imprese singole, mentre la guerriglia organizzata a Parigi richiama i modelli militari delle scuole Isis in Siria. Al Qaeda puntava a impressionare l’Occidente con attacchi isolati come l’11 settembre 2001, Isis, dalle basi in Siria e Iraq, ha una strategia di scontro diretto con Europa, America, infedeli cristiani e sciiti e disprezza gli eredi di Bin Laden. La rivista teorica di Isis ha per testata «Dabiq», dal nome della località siriana nei pressi di Aleppo dove, secondo le scritture apocalittiche islamiche, le «armate di Roma» dapprima isoleranno a Gerusalemme 5000 guerrieri di Allah, poi, con l’aiuto di Gesù profeta del Corano, saranno per sempre sconfitte. Lo studioso di Princeton Bernard Haykel e il saggista Graeme Wood sottolineano come questa Apocalisse musulmana, sottovalutata in Occidente, resti, online, strumento principe di reclutamento. I kamikaze di Parigi saranno stati familiari con questa narrativa. Isis non riconosce l’assetto geopolitico seguito alla fine del Califfato con l’Impero Ottomano, considera la Turchia «apostata» e i confini del Medio Oriente - disegnati dalla diplomazia europea nel 1915 da Sykes e Georges-Picot - «coloniali». I talebani, al potere in Afghanistan fino al 2001, hanno sottoscritto accordi internazionali, Isis invece riconosce solo la guerra «apocalittica» come strumento per ottenere il Califfato islamico retto dalla legge islamica sharia.

 

Perché intelligence e forze dell’ordine non hanno prevenuto o represso la strage?  

La polizia di Parigi ha ottenuto venerdì due successi, l’evacuazione dello stadio senza calca, vittime e panico (sfollando, i tifosi cantavano La Marsigliese) e il coraggioso comportamento degli agenti al locale Bataclan, ma il resto della notte è stato purtroppo un fallimento. I terroristi sono arrivati vicini al presidente Hollande, poi è mancato un piano di controguerriglia efficace e la città è rimasta abbandonata a se stessa. Ogni capitale dovrà ora prepararsi a attacchi coordinati come già a Mumbai 2008, 166 morti: soprattutto Roma durante il Giubileo. Eserciti e polizie non sono abituati a collaborare e dovranno stilare nuove tattiche, non senza problemi legali. Secondo l’analista David Ignatius, inoltre, le intelligence francesi e inglesi sono «accecate» dai codici che compagnie telefoniche e high tech introducono negli smartphone e nei messaggi digitali contro i controlli statali, dopo lo scandalo Nsa. Ogni attentato, per ultimo quello che ha abbattuto l’aereo russo sul Sinai, è preceduto da «chatter», rumore di fondo di voci indistinte che allerta l’intelligence: dal caos di Parigi non si deduce rilevazione preventiva di «chatter». John Schindler, analista ex Nsa e Navy War College, assolve invece gli apparati di sicurezza, notando come i kamikaze possono prevenirsi solo con controlli inaccettabili in democrazia. Norme di «libertà e sicurezza» vanno ricalibrate.  

 

Come è possibile reagire?  

Secondo Simon Cottee, criminologo dell’Università di Kent, sbagliamo nel giudicare i terroristi come «killer», «pazzi», «anormali», perché si tratta di individui razionali che fanno scelte politiche, militari, religiose a noi incomprensibili. La lettura fondamentalista del Corano dei terroristi disgusta cristiani e musulmani insieme, ma recluta online per Isis. Un’opinione diffusa imputa l’ascesa di Isis a «errori occidentali», conflitto Israele-Palestina, emarginazione dei giovani musulmani, l’invasione di G.W. Bush in Iraq 2003: è vero che il vuoto creato in Iraq e l’incertezza seguita alle «primavere arabe» hanno corroborato l’ascesa di Isis, ma nulla nella propaganda e nella strategia del Califfato rimanda a questi temi. La rivendicazione centrale risale a secoli or sono, ed è, politicamente e teologicamente, irriducibile a ogni mediazione. Scuole nei quartieri poveri o pace in Palestina non smobiliterebbero Isis che vuol vincere o morire. Serve coordinamento militare in Siria e Iraq. Il peggio è però l’incertezza, interventi seguiti da ritirate precipitose, bombardamenti di rappresaglia senza raziocinio. Se l’Occidente appare vacuo, Isis si rafforza. La guerra sarà lunga, una generazione almeno, servono visione, coraggio, duttilità, diplomazia e armi. Diffidate da panacee pacifiste o guerrafondaie.

 

Vanno chiuse le frontiere ai rifugiati?  

Isis considera i profughi siriani traditori e apostati, ma può infiltrare suoi uomini nella dolente marea dei rifugiati. La «guerra» di cui il Papa e Hollande prendono infine atto, cominciata decenni or sono, impone il malinconico ripensare la libera circolazione sognata nell’Unione. I populisti useranno la strage di Parigi per raccattare voti, ma una volta al governo apprenderanno, con sgomento, che Isis non ha preferenze politiche alcuna tra «i maiali infedeli».