Gianni Riotta risponde a una lettera dei lettori de La Stampa. 

Caro Riotta,  

Santo Stefano è passato tra amici e nipoti a dibattere della morte del popolare cantante George Michael. Tutti addolorati per la scomparsa di un bravo e ancor giovane artista, ma parecchi - giovani e no - a lamentarsi del troppo spazio concesso all’icona pop davanti a guerre, disastri, crisi economica su nostri tg e sul web. Insomma gran discutere attorno al panettone, abbiamo esagerato? Sono «solo canzonette» come diceva Bennato? Che ne pensa? Auguri a Lei e a tutti gli amici de «La Stampa».

 Carlo Sovranis Sauze d’Oulx (Torino)

La risposta di Gianni Riotta:

Caro Sovranis,  

per tutta la giornata di ieri da twitter a Facebook, il dibattito social ha seguito la falsariga della sua famiglia. Autorevoli firme e cittadini comuni hanno denunciato tg e blog che parlavano con enfasi del povero Michael tralasciando Aleppo, il dubbio disastro aereo russo, l’inchiesta sulla strage di Berlino, mentre tanti altri, soprattutto i «ragazzi e le ragazze dei favolosi Anni 80», ricordavano le ore passate ad ascoltare il cantante dei Wham! di «Last Christmas», morto a 53 anni giusto il giorno di Natale. Confesso di non capire, da sempre, queste opposizioni.  

Discussi con Giorgio Bocca di un suo articolo del 1998 quando, in occasione del cordoglio sollevato per la morte altrettanto precoce, 55 anni, di Lucio Battisti, polemizzò con quanti lo piangevano accorati, irritato per l’ondata di nostalgia di un’intera generazione. Credo che Giorgio sbagliasse, come credo che sbaglino oggi quelli che pesano col bilancino lo spazio dato al rimpianto di un cantante contro le tragedie del nostro tempo. La vita contiene tante cose, quotidiane e dolci, strategiche e terribili, la quiete domestica degli affetti e l’impegno per decifrare il mondo e opporsi al male che incombe su di noi. Non si salva la pace indurendo il proprio cuore, non si redime l’umanità azzittendo una canzone, come predicano, e praticano, spietati i taleban in Afghanistan.  

Nel gennaio del 1960, nel pieno della Guerra Fredda, commentando la morte del campione di ciclismo Fausto Coppi, Luigi Pintor, futuro fondatore del Manifesto, lo ricordò così sull’Unità: «Poche cose commuovono come la morte d’un campione. Ne sono commossi i ragazzi che s’erano esaltati e appassionati alle sue gesta, rivivendole nella loro accesa fantasia come cosa propria, come un primato da imitare e un trionfo da condividere. Ne sono toccati gli adulti perché ne risveglia i ricordi, anche quelli della giovinezza, e segna l’inesorabile passare del tempo». Parole misurate che possiamo riprendere per Battisti ieri e Michael oggi: le loro note sono per tanti colonna sonora di vita, album di famiglia di sentimenti cari, ispirazione, come per i nonni le gesta del campionissimo Coppi. Chi li disprezza, temo, rischia il moralismo, spegnere oggi una canzone e il proprio animo domani.