«Intervista? Macché intervista, è stata un’esperienza di vita spirituale, il Papa non si intervista».

«Ero andato lì con delle domande, registratore, carta e penna, ma ho subito smesso di prendere appunti. Ascoltavo, io gesuita e direttore di Civiltà Cattolica, il Papa, il primo Papa gesuita, la commozione e l’interesse hanno preso il sopravvento».

Inutile fare i complimenti a padre Antonio Spadaro per lo scoop mondiale – dal sito del «New York Times» a twitter, old e new media paralizzati dal suo colloquio con papa Francesco - la sola cosa che gli stia a cuore, nel bailamme delle telefonate, delle mail, dei visitatori che bussano al suo studio romano, è «che cosa il Papa ha detto, il suo messaggio, il suo tono. Se facciamo a pezzetti quel che dice per un titolo qui, un titolo lì, ne disperdiamo le verità».

Quarantasette anni, siciliano, laureato in filosofia a Messina, specializzato a Chicago, fondatore della Cyberteologia, scienza teologica che opera sul web per la ricerca religiosa e pastorale, preparandosi a presentare alla Camera dei Deputati il 7 ottobre la sua opera «Cyberteologia, pensare il cristianesimo al tempo della Rete», Spadaro ha passato tre giorni con il Papa, per un testo che fa discutere ovunque. «L’abbiamo realizzato d’intesa con i direttori di varie riviste della Compagnia di Gesù, e siamo stati travolti dal calore, l’autorevolezza, la forza e la semplicità con cui papa Francesco ha dialogato».

Dagli Stati Uniti gli fa eco il reverendo James Martin, gesuita e direttore della rivista dell’Ordine «America»: «Sono rimasto sorpreso davanti al testo. Il Papa sembra perfino più un libero pensatore di quanto non ritenessi, è creativo, capace di sperimentare, di vivere sul confine e cercare di allargarlo un po’ per volta».
Spadaro si commuove perché il Papa gli dice «Dio sta prima… sempre…Dio è un po’ come il fiore del mandorlo della tua Sicilia… che fiorisce …per primo» e riflette quando papa Francesco rivoluziona, con un sorriso, biblioteche teologiche secolari. Per Francesco, Sant’Ignazio, fondatore della Compagnia di Gesù, non va considerato più «ascetico» ma «mistico», e cita il beato Piero Favre, amico e compagno di Ignazio, cui stavano a cuore «Il dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari; la pietà semplice, una certa ingenuità forse, la disponibilità immediata, il suo attento discernimento interiore, il fatto di essere uomo di grandi e forti decisioni e insieme capace di essere così dolce, dolce...». Favre è dunque, in filigrana, quel che il Papa appare oggi a milioni di cattolici, ferventi o disillusi, uomo di una chiesa «Madre e Pastora», che non esclude via «regole e regolette», ma parla a tutti. Francesco cita i gesuiti eruditi Fiorito e Amadeo, i teologi Lallemant e Surin: sui giornali e sui siti fanno rumore il suo amore per i «Promessi Sposi» del Manzoni, la passione dichiarata per «La Strada» di Fellini e «Roma città aperta» di Rossellini, ma in Vaticano quei nomi hanno un peso formidabile.

Il Papa che va in giro con la R4 e le scarpe rotte, il papa «parroco» popolare porteño di Buenos Aires che recita a memoria al capitano dell’Inter Zanetti, in visita a Santa Marta, la formazione della squadra del San Lorenzo campione di Argentina 1946 «Blazina, Vanzini, Basso, Zubieta, Grecco, Colombo, Imbellone, Farro, Pontoni, Martino, Silva», sa mobilitare attorno alla sua immagine candida i pilastri della cultura ecclesiastica. La «nuova» Chiesa di papa Francesco è in realtà antichissima, la sua «riforma» è un ritorno a una vocazione originale.

Padre Spadaro, oltre a essere cyberteologo, è anche un ottimo collega giornalista, lo stesso numero di Civiltà Cattolica con l’intervista al Papa ospita un dottissimo saggio del sacerdote Francesco Occhetta su «L’Ordine Nazionale dei Giornalisti», e quindi non sottolinea i temi del Papa che dominano sul web, le parole sui gay, sull’aborto, il divorzio, le donne, la solitudine, una chiesa non «moralista», preti e suore che non devono essere «scapoloni» o «zitelle». Gli preme «il tono del Papa, la sua visione quando afferma “Io vedo la santità nel popolo di Dio, la sua santità quotidiana. C’è una “classe media della santità” di cui tutti possiamo far parte, quella che di cui parla Malègue, lo scrittore detto “il Proust cattolico”». «Il Papa parla qui di sua nonna Rosa, ricorda la suora che gli salva la vita da neonato, triplicandogli la dose di penicillina senza chiedere al dottore, il prete anziano che si affida a Dio. Ho visto il breviario del Papa, in latino, liso, consunto, da parroco e mi sono commosso, pensando a quante ore di lettura lo hanno consumato, a quando il Papa ha detto di pregare in attesa dal dentista o perfino di essersi talvolta addormentato, pregando fino a tardi».

Francesco non propone una santità «eroica», da vecchio santino, ma una santità quotidiana, a tutti accessibile nella loro vita, in famiglia, al lavoro. «Altri papi si sono scusati a nome della Chiesa – osserva padre Spadaro – Francesco è il primo Papa che si scusa a titolo personale», quando ricorda «Il mio modo autoritario e rapido di prendere decisioni mi ha portato ad avere seri problemi e ad essere accusato di essere ultraconservatore. Ho vissuto un tempo di grande crisi interiore quando ero a Cordoba. Ecco, no, non sono stato certo come la Beata Imelda, ma non sono mai stato di destra. È stato il mio modo autoritario di prendere le decisioni a creare problemi». La beata Imelda salí agli altari a soli 13 anni, il Papa imputa qui, invece, alla giovinezza i propri errori.

Con sagacia replica alle critiche ricevute in patria, «uomo vicino ai militari» e, in America, ai conservatori come il vescovo Thomas Tobin di Providence, che ha dichiarato al giornale diocesano di essere «un po’ deluso da papa Francesco» che non parla di aborto «e molti hanno notato» il suo silenzio. Su Civiltà Cattolica, sorridendo, Francesco ruggisce «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione». La «parabola» di Francesco sulla donna che ha abortito e divorziato ma che crede nella Provvidenza deve essere arrivata anche a Providence, grazie al web.

«No – ride padre Spadaro - il Papa non va su Internet, ma ci indica di usare twitter, dove ha oltre 9 milioni di follower e il web per incontrare i fedeli». Se il Papa non va in rete, ieri la rete andava dal Papa, grazie al suo candore. Lui si schermisce ricordando il quadro del Caravaggio, la Vocazione di Matteo, nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi: il peccatore, chiamato da Gesù, a una «santità media», con un seme di fede tra le spine dell’anima. Come confessava ieri a padre Spadaro un amico: «Antonio, se il Papa offre a tutti la speranza di una santità “ceto medio”, da oggi io spero almeno in una santità ancora più piccola, una santità alla mia altezza, sottoproletaria».