«Ho aperto Twitter, dice che la mamma è morta, ma continuo a sperare»: la frase della signora Hassinger, figlia di una delle vittime della strage di Newton in Connecticut, parla di morte nell’era digitale. I bambini cadono uno dopo l’altro nella loro scuola.  

 Una delle scuole belle, ben organizzate, con il campo da baseball e da calcio che il mondo invidia agli yankee del Connecticut, sotto i colpi di un killer, Adam Lanza, che uccide la mamma, maestra, il fratello, lontano in New Jersey, e un convivente, secondo le prime notizie. E le mamme, i fratelli, poi i cronisti si tengono legati alla catena di Facebook, da cui emerge subito il volto del killer - vero o presunto che sia che importa?, basta sia un volto umano, basta ci si possa tranquillizzare che non sia un mostro, un alieno -, di Twitter, dei blog, per capire che succede, quali sono i bambini sommersi, quali i salvati.  

 Usciti dalle aule, gli scolari superstiti davano interviste alla tv con la freddezza dei veterani, in mezz’ora la loro infanzia, come accade ai coetanei nelle zone di guerra, è perduta, sono usciti di casa innocenti in attesa di Babbo Natale, tornano con il cuore pesante degli adulti. 

 Il presidente Barack Obama ha pianto in diretta, commentando la notizia, la sua voce s’è rotta, ha asciugato le lacrime: ho visto commossi tanti presidenti americani da Carter in avanti, ho scritto di Reagan e Clinton sul punto di piangere, ma non ricordo il pianto di un presidente in carica, davanti alla nazione. È un pianto di impotenza. L’uomo più potente del pianeta Terra, quello che ai tempi della Guerra Fredda si chiamava «leader del Mondo Libero», piange di dolore e di frustrazione. Sa che non basta una legge contro le armi, che pure la sua base gli chiede, per eliminare la violenza assurda che ormai è diventata stagionale, il «New York Times» informa subito che «è la settima strage più violenta», come fosse la classifica del Campionato della Morte. Nella Scandinavia felice le armi da guerra non sono popolari come in Texas, eppure Breivik ha fatto strage con ferocia che associamo all’alienazione americana. 

 Obama piange, come tanti cronisti alla scuola della strage, come le mamme che stringono un bambino salvato, come quelle che non celebreranno Natale e Channuca con i figli, come i tanti genitori, in America e nel mondo, che provano a spiegare a casa, «Perché Newtown?». Il Presidente intellettuale, il Presidente che voleva governare il paese e il pianeta con idee, concetti, teorie, piange perché sa che il «Perché» di Newtown non c’è. Armi in eccesso, certo, perfino lo scrittore liberal Jonathan Franzen, nella sua intervista alla «Stampa» del 29 ottobre, invocava il II Emendamento alla Costituzione come difesa del libero porto d’armi: è un assurdo e Franzen ha torto, l’Emendamento parla di armi ai cittadini «nell’ambito di una ben regolata milizia», non in mano ai matti. Un nuovo Brady Bill contro le armi automatiche serve ma non è panacea. Follia personale del killer Lanza, che guida per miglia da Hoboken, in New Jersey, fino a Newtown in Connecticut, per uccidere dopo il fratello, la mamma maestra e i suoi scolari, forse un amico: certo. Ma leggi strettissime sulle armi, consultori psichiatrici diffusi, «le riforme» che ieri notte da internet tanti invocavano dalla Casa Bianca, basterebbero a evitare che Newtown sia solo una nuova stazione della Via Crucis delle stragi? No: e le lacrime in diretta del presidente Obama testimoniano questa frustrazione, è tra noi una violenza che non sappiamo reprimere con il diritto e la polizia, non sappiamo sradicare con la psichiatria libera che sognavano i medici ribelli Cooper e Basaglia, non riusciamo a isolare con le comunità solidali. I credenti parlano del Maligno, della lotta che oppone il Bene e la Luce al Male e al Buio nella nostra vita e nel nostro destino. I laici propongono leggi e pianificazioni, ma infine avvertono un limite oscuro, drammatico, che la razionalità del diritto non sa oltrepassare e civilizzare: il male. 

 Alla fine della campagna elettorale che ha vinto non senza difficoltà, Obama piange perché sente che nel nostro mondo post industriale, nell’epoca globale delle emigrazioni, dei nuovi lavori, delle identità digitali, quando il Papa teologo, Benedetto XVI sceglie Twitter per il suo apostolato e gli imam islamici più saggi dalla rete predicano pace, troppi di noi brancolano nell’isolamento, in una pazzia lucida, nella necessità di dare morte, non cercare vita, come dice la Scrittura «preferiscono le tenebre alla luce». Piange il Presidente ancora giovane che ieri sembrava invecchiato, canuto, perché non c’è ordine nel suo paese e nel mondo, e in troppi paesi, in Asia e in Africa, la brutale strage che in America o in Norvegia è ancora eccezione, è vita quotidiana. Piange perché, come tutti noi, sa di vivere in un mondo in cui perfino Twitter, il dolce, benigno, affettuoso Twitter che scandisce di notizie e sorrisi la nostra giornata può ad ogni istante ricordarci che il nostro mondo si spezza, «Ho aperto Twitter, dice che la mamma è morta». Quando la speranza va off line, le lacrime, dei Grandi e degli Umili, sono la sola risposta umana.